AGI – Un romanzo che guarda al passato per spiegare le nevrosi del presente, un’idea nata durante un viaggio su un’isola che oggi è celebrata meta turistica, ma fino a un secolo fa era un luogo dal quale gli uomini fuggivano in cerca di fortuna e le donne si spaccavano la schiena la mattina sulle barche da pesca e la sera sui campi per non patire la fame.
Non l’ennesima storia di emancipazione femminile – anche se le protagoniste sono prevalentemente donne – né un semplice inno alla resilienza, ma un modo per restituire verità storica a un momento e a un luogo in cui essere ‘femmina’ significava innanzitutto essere “consapevoli del proprio ruolo”.
“Lo spunto è venuto da un viaggio a Lipari in cui scoprii la storia delle donne pescatrici e le testimonianze raccolte dall’antropologa Macrina Marilena Maffei” racconta Francesca Maccani, autrice di ‘Agata del vento’ (Rizzoli, 304 pagine, 17 euro) “e da lì mi si è aperto un mondo in cui, sullo sfondo di eventi realmente accaduti, si muovono personaggi altrettanto reali ma ricchi di suggestioni, come le guaritrici e le indovine, le cosiddette ‘majare’ da alcuni considerate alla stregua di streghe ma comunque forti di un ruolo che era la stessa società a riconoscere loro“.
Donne che “paradossalmente rispetto a noi donne di oggi erano estremamente libere”, che verrebbe da dire, è necessario raccontare per sfuggire ai luoghi comuni letterari. “Mi sto rendendo conto che c’è molta sofferenza nelle donne sottoposte a una pressione sociale e mediatica molto forte: devono essere wonderwomen, ma senza lamentarsi; devono essere ironiche e fighe e questo carico di aspettative sociali fanno sì che vadano un po’ tutte in burn-out. C’è una sofferenza tutta contemporanea che deriva dalla perdita di quell’idea che un tempo le donne avevano di loro stesse e che era tutta proiettata sul portare avanti il proprio dono”.
Leggendo ‘Agata del vento’ viene quasi da pensare che le donne del passato possano essere un modello per quelle del presente. “Per il fatto di potersi permettere il lusso di essere quello che erano godendo anche del rispetto che esulava dal giudizio estetico e sociale, sì: potrebbero essere quel modello di forza e di autodeterminazione che oggi noi non riusciamo a portare avanti” dice Maccani, “Ci manca il rispetto delle figure depositarie di una funzione sociale di base – medici e insegnanti – e la capacità di allargare lo spettro del rispetto alle funzioni sociali senza limitarlo a quello del genere”.
Agata non è un personaggio in linea con le ‘Donne dell’Acquasanta’, le operaie della manifattura tabacchi di Palermo protagoniste del precedente romanzo di successo della scrittrice. “È uno modo diverso di raccontare uno spaccato femminile” dice Maccani, “quello era più sociale e corale, questo invece contempla una sfera sensoriale altra rispetto a quella maschile, legata alla magia, alla cura, al sentire e al vedere cose che gli altri non vedono e non sentono. Determinate sensibilità che fanno parte di un patrimonio che stiamo perdendo perché ce ne stiamo allontanando, troppo concentrate come siamo sul giudizio altrui”.
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