Un medico dell’ospedale di Saronno e un’infermiera uniti da una relazione amorosa clandestina che hanno ucciso quattro pazienti anziani e il marito di lei. È questo il nucleo originario delle accuse che portano in carcere, il 29 novembre 2016, Leonardo Cazzaniga, e Laura Taroni nell’inchiesta ‘Angeli e Demoni’ condotta dalla Procura di Busto Arsizio. Le indagini poi si amplieranno fino a ipotizzare 15 omicidi: dodici di pazienti in corsia e tre di familiari (il marito, la madre, il suocero) della donna. Per dodici di queste morti Cazzaniga è stato riconosciuto colpevole di omicidio volontario e condannato all’ergastolo più tre anni di isolamento diurno.
Il processo diventa l’aspra rappresentazione di due visioni incompatibili: quella dell’ex viceprimario che sostiene di avere agito “nel tentativo di rendere dignitosa la morte per morti indegne, volente e disumane” e quella della procura e degli avvocati di parte civile secondo i quali il medico uccise per “delirio di onnipotenza”, scegliendo una terza via non accettabile tra l’accanimento terapeutico e l’abbandono del paziente. La strada di un “angelo della morte” come lui stesso si definiva, in preda a demoni che l’avrebbero portato a scegliere tra il bene e il male, cancellando il giuramento di Ippocrate in un ospedale di provincia della regione considerata un modello nell’assistenza ai malati.
Sommario
L’inizio delle indagini
Le indagini erano partite nel 2014 dopo che un’infermiera del pronto soccorso, Clelia Leto, si era presentata ai carabinieri raccontando del ‘protocollo Cazzaniga’: un sovradosaggio, in rapida successione, di morfina e farmaci anestetici e sedativi applicato ai pazienti anziani affetti da diverse patologie che venivano ricoverati a Saronno. Cazzaniga, 60 anni, e Taroni, di 20 più giovane, finiscono in carcere due anni dopo con l’accusa di omicidio volontario di quattro pazienti e del marito di lei, Massimo Guerra.
L’uomo, possibile ostacolo alla relazione extraconiugale, muore il 30 giugno 2013 dopo essere stato indotto a credere di essere stato malato di diabete e ‘finito’ con la stessa sequela di farmaci usati per i malati terminali. Tra le ragioni che avrebbero scatenato la furia omicidia di Laura Taroni, ci sarebbero state anche questioni legate all’eredità del consorte. Questo parrebbe emergere da un’intercettazione del 20 maggio 2015, in cui lei “sfoga la sua rabbia, dicendo di avere un’irrefrenabile voglia di uccidere ‘uno di loro’, cioè uno dei parenti del marito defunto”.
Gli inquirenti sequestrano e analizzano una cinquantina di cartelle cliniche, mentre arrivano altre segnalazioni di morti sospette. Si indaga su un’altra quindicina di persone accusate di omessa denuncia, favoreggiamento e falso ideologico per avere creato una rete di omertà a protezione dei due presunti assassini.
Il 27 febbraio del 2017, dal carcere di Busto, Cazzaniga scrive alla ormai ex amante, detenuta al Bassone di Como. “Cara signora Taroni, ho testé appreso durante l’interrogatorio con il pm di essere stato da lei accusato della morte di Massimo (Massimo Guerra, marito della Taroni, ndr) e di sua madre (Maria Rita Clerici, madre della Taroni, ndr). Sono profondamente amareggiato e addolorato. Evidentemente ho vissuto gli ultimi 5 anni, con lei, nell’oscurità piu’ profonda. Dico ciò perché pensavo lei mi amasse. Io la amo ancora profondamente ma considero la relazione che ci univa (apparentemente) irrimediabilmente chiusa. Consapevole che questa mia sarà del tutto irrilevante per lei, le comunico che questa sarà la mia ultima lettera e la invito a non contattarmi mai più. La ringrazio per il dolore che mi sta provocando. Le auguro buona fortuna per la sua vicenda processuale”.
“Sono stanca, lo dico a te che considero ancora il mio uomo”. La risposta della Taroni sembra addolorata. “Tu non hai buttato via 5 anni, non ti ho accusato di niente, ho dato ad ognuno di noi le proprie colpe”. Pochi giorni prima, la svolta nelle indagini con gli interrogatori della donna che al pm di Busto, Maria Cristina Ria, descrive un ménage coniugale di brutalità, con l’idea non di eliminare ma di “neutralizzare” il coniuge. “L’ho deciso con Leonardo Cazzaniga, fu lui a suggerirmelo. Leonardo mi suggerì di farlo passare per ammalato”. Il 13 febbraio lancia un’altra accusa tremenda: “Leonardo ha deciso di uccidere mia madre”. Racconta che il medico l’ha soppressa praticandole nella giugulare una iniezione di fibrinolitico, un anticoagulante del sangue.
Omicidi in famiglia
Nella chiusura delle indagini del 20 ottobre 2017, a Cazzaniga e Taroni vengono contestate altri casi di morti sospette, avvenute tra il 2011 e il 2013. Anche Maria Rita Clerici e Luciano Guerra, rispettivamente madre e suocero dell’infermiera, sarebbero stati uccisi dalla coppia. La prima, in apparenza in buone condizioni di salute, morì sul divano a casa della figlia, il 14 gennaio 2014. Non gradiva la relazione tra i due. Il secondo a 78 anni, viene a mancare il 20 ottobre 2013, dopo un ricovero lampo all’ospedale di Saronno: visitato alle otto del mattino spira quattro ore dopo.
Laura Taroni si stacca anche dalla strategia processuale dell’ex amante, scegliendo il rito abbreviato che le permette lo sconto di un terzo della pena. In primo grado, viene condannata a 30 anni di carcere, verdetto confermato il 4 dicembre 2019 in appello, per gli omicidi, in concorso con lui, di Massimo Guerra e della madre Maria Rita Clerici.
L’imputata – si legge nelle motivazioni – ha ammesso di aver avviato ai danni del marito nel 2011 terapie farmacologiche del tutto inutili per le sue condizioni di salute, la cui pericolosità è determinata dagli immediati e ricorrenti effetti di grave malessere, che hanno reso necessari vari ricoveri e hanno fatto correre alla vittima pericolo di vita”.
L’aggravante della premeditazione emerge proprio dalla “persistenza del proposito criminoso per un tempo particolarmente lungo”. Per l’omicidio della madre esiste “una vera e propria confessione” della Taroni che negli interrogatori “ha spiegato in maniera precisa e compiuta che l’effetto morte è conseguito alla somministrazione di un farmaco portato appositamente a casa sua dal Cazzaniga, che lo ha iniettato con il suo consenso o comunque senza la sua opposizione”.
“Una terza via non accettabile”
Il processo col rito ordinario per Cazzaniga si compone di una sessantina di udienze, la più importanti delle quali è quella del 22 ottobre 2019. I tre esperti super partes, nominati dai giudici viste le discrasie tra gli studi di parte, espongono le loro conclusioni sfavorevoli al ‘protocollo Cazzaniga’, definito dal suo inventore, nel frattempo ai domiciliari da settembre dopo tre anni di carcere, “un insieme di principi volti a consentire a persone ormai giunte alla fine della vita di morire libere dal dolore, tenendo presente anche i sentimenti dei familiari”.
Ben diversa la valutazione da parte di Roberto Moroni Grandini (direttore dell’hospice Cascina Brandezzata), Giuseppe Bacis (direttore del Centro antiveleni di Bergamo) e Roberto Malcontenti (medico legale). Quello esercitato dall’allora viceprimario del pronto soccorso di Saronno (Varese), Leonardo Cazzaniga, “fu un accanimento palliativo da parte di un medico che si ritiene in grado di decidere cosa sia il bene e cosa il male per un paziente: una terza via non accettabile tra l’accanimento e l’abbandono terapeutico”.
“Potenzialmente – è stato spiegato per un caso – un quantitativo di 30 mg di morfina poteva essere un dosaggio corretto, ma bisogna valutare il paziente e somministrargli 5 mg per volte, osservando la sua reazione. Partire con 30 mg è molto pericoloso. L’atteggiamento deve essere sempre graduale, in modo da aiutare il paziente: queste sono le cure palliative. Se non c’è una risposta, bisogna retrocedere in tempi brevi. Bisogna trovare la giusta via tra l’abbandono terapeutico e l’accanimento, una via che non è l’accanimento palliativo”. Nel caso di G.P.V., 71 enne affetto dal morbo di Parkinson, arrivato in stato di incoscienza in ospedale, “il sovradosaggio appare totalmente ingiustificato con tempi e modi sproporzionati”.
Solo per un paziente di 93 anni, A.I., giunto al pronto soccorso dopo una caduta, non viene ritenuta certa la correlazione tra sedazione ‘sbagliata’ e morte. In questo caso, la prescrizione e somministrazione viene considerata coerente.
La parola “ergastolo” più tre anni di isolamento diurno chiude la lunga requisitoria del procuratore Gian Luigi Fontana e del pm Maria Cristina Ria. L’ex aiuto primario del pronto soccorso di Saronno è imputato degli omicidi di dodici pazienti in corsia e di quelli di tre familiari della sua amante di un tempo. L’accusa chiede il carcere a vita per tutti questi morti tranne per il caso di uno dei pazienti, A.I., per il quale la perizia super partes non ha ravvisato un chiaro nesso causale fra la somministrazione di farmaci in sovradosaggio il decesso: per questo il medico deve essere assolto perché il fatto non sussiste.
Per i pubblici ministeri Cazzaniga va condannato anche per lesioni ai danni di Massimo Guerra. Chieste, inoltre, le condanne per omessa denuncia e favoreggiamento personale per i componenti della commissione nominata per verificare l’operato di Cazzaniga.
La ricostruzione delle morti di Massimo Guerra e Maria Rita Clerici è drammatica. Fontana rievoca la presunta contraffazione delle analisi al pronto soccorso per convincere il marito della Taroni di essere malato di diabete e dunque della necessità di assumere farmaci. “Abbiamo le prove di una alterazione del sangue in ospedale con una dottoressa che dice: ‘Tanto l’ospedale ne uscirà pulito”. “Il fine ultimo – dice il pm Ria – era quello di ridurre la libido di Guerra per via delle pratiche a cui sottoponeva la moglie – ma Cazzaniga e la Taroni, infermiera e medico, erano consapevoli delle conseguenze fino alla morte”.
Diverso il ‘livello’ di colpevolezza per la morte di Maria Rita Clerici. La madre della Taroni, una donna ancora giovane e in buona salute, subisce un tracollo. Qualche giorno prima il medico preleva farmaci dal pronto soccorso, mentre la Taroni si mostra preoccupata per inesistenti malattie di quella madre con cui ha un pessimo rapporto. Nell’ultimo giorno di vita di Maria Rita, secondo l’accusa, il comportamento della coppia è contraddistinto da “totale inerzia, nessuna volontà di soccorso. Le manovra rianimatorie iniziano solo quando il respiro si arresta e al personale del 118 è impedito di sostituirsi alla Taroni per proseguirle. Una farsa”.
In conclusione, “esiste una enorme pluralità di elementi di prova che il ‘protocollo’ era un metodo messo a punto da Cazzaniga al di fuori di ogni intento terapeutico e palliativo, per provocare la morte di soggetti che a suo insindacabile modo di vedere non meritavano di vivere”.
“La sua condotta che non aveva niente a che fare con la sedazione palliativa, se non lo stato dei pazienti e i farmaci impiegati. A volte Cazzaniga decideva l’applicazione del ‘protocollo’ e la preannunciava prima ancora di avere visto il paziente”.”Era un medico esperto, che si sentiva superiore agli altri e ostentava la sua superiorità. Si definiva ‘angelo della morte’. Pronunciava frasi come ‘Su questo paziente dispiego le ali di angelo della morte’ o ‘Io sono Dio'”.
Per la difesa, con gli avvocati Ennio Buffoli e Andrea Pezzangora, l’unico intento dell’ex vice primario era invece quello di lenire le sofferenze di pazienti in condizioni tanto gravi da essere ormai irreversibili. Viene chiesta l’assoluzione piena perché il fatto non sussiste e, in subordine, la derubricazione del reato da doloso a colposo, con le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti e l’attenuante legata a una condotta di particolare valore morale e sociale.
Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a dir@agi.it
Post simili:
- Omicidi in corsia, ergastolo per l’ex medico dell’ospedale di Saronno
- Omicidi in corsia: ergastolo all’ex medico dell’ospedale di Saronno
- Legionella: morte sospetta a Desenzano, la Procura indaga
- La scelta di Lucia di far morire la madre a casa
- Niccolò è stato dimesso dallo Spallanzani, i genitori: “Non lo vedevamo da 6 mesi”