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L’etiope Kelkile Gezahegn vince la maratona di Francoforte nel 2018
E se nei confronti degli atleti africani non ingaggiati per la maratona di Trieste non ci fosse alcuna ‘epurazione’ mè ‘razzismo’? E’ la convinzione di Martino Ghielmi, fondatore del network vadoinafrica.com ed esperto di partecipazione di atleti africani alle maratone internazionali.
In un lungo post su Facebook, Ghielmi fa una sorta di debunking di tutto quello che è stato scritto e detto sulla decisione degli organizzatori della manifestazione di Trieste e sulle polemiche che ne sono seguite. Ma prima di parlare della interpretazione che dà dell’accaduto bisogna ricostituire la vicenda.
Sommario
I fatti
“Nessun atleta africano sarà ingaggiato per la mezza maratona”. Basta una frase pronunciata in conferenza stampa dall’organizzatore Fabio Carini per accendere la polemica sul Running Festival di Trieste, in programma dal 2 al 5 maggio. La decisione è motivata dal presidente della Adp Miramar Carini con la volontà di combattere lo sfruttamento dei corridori di colore. Il caso diventa nazionale e si attira le immediate accuse di razzismo da parte del Pd. Il patron della gara podistica triestina spiega successivamente che la sua posizione non ha a che vedere col razzismo: “Alla manifestazione possono iscriversi atleti di qualsiasi nazionalità” anche africani. “Quest’anno – spiega Carini – abbiamo deciso di prendere soltanto atleti europei affinché vengano presi provvedimenti che regolamentino il mercimonio di atleti africani di altissimo valore, che vengono sfruttati. Questa è una cosa che non possiamo più accettare”. Insomma la sua intenzione, dice, era di scoprire il vaso di Pandora dello sfruttamento di questi runner di colore che vincono tutto ma non guadagnano niente.
Secondo Carini, in Italia “troppi organizzatori subiscono pressioni di manager poco seri che sfruttano gli atleti e li propongono a costi bassissimi: ciò va a scapito della loro dignità e danneggia atleti italiani ed europei, che non vengono ingaggiati perché hanno costi di mercato”. Il riferimento – precisa Il Piccolo di Trieste in edicola oggi – è alle spese che le organizzazioni delle manifestazioni sostengono per avere ai nastri di partenza runner di alto profilo e all’atteggiamento dei loro manager, che intascherebbero i cachet dando poco o nulla ai propri rappresentati.
Come stanno le cose (secondo Ghielmi)
Dietro il polverone, secondo Ghielmi, ci sono i soldi. O, meglio, non ci sono. Perché, scrive, “il budget della maratona di Trieste, come gran parte delle manifestazioni italiane, è risicato e in continuo calo. Hanno quindi deciso di non ingaggiare nessun etiope/kenyano (di seconda fascia) disponibile in Italia. Al massimo prenderanno un paio di italiani ‘amici di amici’ a cui verrà assicurata la vittoria in assenza di concorrenza seria. Scelta discutibile e da sfigati (verrà fuori la sagra della salamella, a livello di tempi) ma legittima”.
Il divieto
Ghielmi lancia un monito: “Prima di parlare a sproposito occorre conoscere come funziona il settore. Nessun professionista, e gli africani in questione lo sono tutti, partecipa a una gara per il piacere di farlo. E neanche solo per i premi in palio. Visto che è il loro (duro) lavoro si tratta di portare a casa la pagnotta, composta di norma da premio (variabile, in funzione del piazzamento e/o tempo) + ingaggio (fisso, negoziato precedentemente in base al palmares dell’atleta). Non si diventa ricchi come nel calcio ma, soprattutto se si vive in Kenya o in Etiopia, si può cambiare vita guadagnando in pochi anni l’equivalente di centinaia di contadini di sussistenza”.
Il razzismo
Sbagliato, aggiunge, parlare di razzismo. “Finchè si cercherà di usare questo termine come una clava da menare a tutti i costi e più in fretta possibile in testa all’avversario politico non si andrà lontani. Il razzismo esiste ed è un cancro tanto presente in Italia come nel resto del mondo. Ma non si combatte con i proclami a caso, bensì con fatti concreti. Peraltro è sempre prezioso dimostrare come “chiudersi nello sgabuzzino” della xenofobia sia dannoso in primo luogo per chi fa queste scelte. Un qualsiasi africano (kenyano, marocchino o senegalese che sia) che voglia iscriversi alla maratona di Trieste è ovviamente libero di farlo, se in regola con il tesseramento”.
Lo sfruttamento
E per quanto riguarda a questione dello sfruttamento degli atleti, Ghielmi punta il dito contro “l’oligopolio in cui pochi procuratori si spartiscono un (magro) bottino combinando le gare e/o spremendo gli atleti considerati macchine/animali e non persone. Un atleta africano che arriva a correre all’estero ha dietro di sè decine di persone (familiari, amici, atleti già di successo) che l’hanno sostenuto per anni e anni di allenamento senza reddito (…) Dunque gli stessi atleti sono i primi a voler massimizzare a tutti i costi il loro tour europeo, accettando di correre per poche centinaia di euro in mancanza di altro. Per combatterlo non servono proclami (…) ma una seria selezione dei procuratori/squadre con cui si sceglie di lavorare (non sono tutti uguali), presentazione precisa degli atleti che hanno un nome, un cognome, una storia (non si può sentire “il kenyano di turno”), ecc. Si può portarli nelle scuole, ad allenarsi con gli amatori, a incontrare la cittadinanza per costruire legami bidirezionali tra territori e persone. Ovviamente non invitarli con il pretesto dello sfruttamento ha il sapore della farsa tragicomica. Ma tant’è”.
Cosa dice la politica
Ma per il Pd si tratta solo di pretesti. Per il segretario regionale Cristiano Shaurli “con motivazioni che hanno un retrogusto d’ipocrisia, la nostra regione riapre la stagione dell’apartheid nello sport”. Il vicepresidente del Consiglio regionale Francesco Russo richiama “l’Alabama del Ku Klux Klan: credo che Trieste meriti di meglio che essere ricordata come la città in cui le istituzioni gettano nei cassonetti le coperte ai clochard e organizzano le mezze maratone monocromatiche”. Gli fa eco il consigliere regionale Pd Roberto Cosolini, secondo cui “l’organizzatore dovrebbe citare fatti concreti e imporre un codice etico, vigilandone il rispetto”. La segretaria del Pd di Trieste, Laura Famulari, invita invece a “denunciare i manager disonesti, invece che escludere dalla corsa un intero continente”.
Come rispondono gli organizzatori
Carini risponde alle accuse dicendo di essere “soddisfatto perché finalmente si parla di una questione arcinota e su cui le federazioni dovrebbero togliersi il prosciutto dagli occhi, smascherando le connivenze a tutti i livelli”. Per l’organizzatore “di certo ci sono società e manager che agiscono in modo specchiato, ma molti vogliono atleti che corrano veloce e costino zero, costretti a dormire negli scantinati e senza paga”. Carini replica alle polemiche affermando “siamo ben oltre l’aver preso un granchio. Creiamo assieme il messaggio più giusto, affinché si smetta di usare tali ragazzi per guadagni facili. Questo messaggio non può non partire da Trieste, città più multiculturale d’Italia”.
Ha collaborato Giancarlo Terlizzi
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