Quella del sindaco di Castelverde, in provincia di Cremona, Graziella Locci è solo l’ultima delle denunce che riguardano un pericolosissimo gioco che da diversi anni dilaga in Italia, specialmente in provincia. Le regole sono tanto assurde quanto semplici: si trova una strada, magari non di quelle principali, ci si sdraia sull’asfalto e si rimane lì, scattando selfie, fino al passaggio della prima auto in corsa, costretta a frenare di colpo o a brusche manovre per evitare i giovani in gara.
Un gioco del quale si parla, perlomeno in Italia, da tempo, anche se l’ispirazione probabilmente arriva dagli Stati Uniti e, secondo un vecchio articolo di Fanpage, avrebbe anche un nome: “Planking”. In realtà oltreoceano, se vogliamo proprio rintracciare le probabili (non certe) origini della scellerata idea, il particolare challenge aveva tutt’altra natura: non veniva realizzato di notte e nemmeno in mezzo al traffico, si intitolava “Confort Zone” e consisteva si, nello sdraiarsi per terra e scattare la foto o girare un video da postare sui social, ma in zone pedonali e più che una sfida di coraggio era una sfida sociologica, quasi filosofica, l’invito, appunto, a guardare la vita da un’altra prospettiva, provare a destabilizzare le convenzioni sociali dei passanti con la schiena sull’asfalto.
La declinazione italiana di questa pratica invece, è tutta un’altra cosa. Le segnalazioni, negli anni, sono arrivate da tutta Italia, non c’è una zona in particolare dove la moda si è accesa in maniera più sensibile. Una roulette russa in pratica, molto simile ad un’altra sciocca abitudine, quella dei selfie pericolosi, che sono costati oltre 250 vittime solo nell’ultimo anno.
In realtà in questo caso non si può nemmeno troppo puntare il dito contro i social, il “gioco” è più una prova di coraggio all’interno di sparuti branchi di ragazzi, nella maggior parte dei casi, come denunciano regolarmente i testimoni oculari, giovanissimi, che non superano i 15/17 anni. Come quelli denunciati a dicembre a Carrara, una decina, sdraiati sulle strisce pedonali sul viale XX Settembre alle due di notte, tutti scappati ridendo fragorosamente mentre l’auto di una signora tentava di salvargli la vita evitandoli.
La signora in questione ha poi denunciato tutto su Facebook, creando nella comunità all’ombra delle Apuane un dibattito che anche in quel caso ha portato all’apertura di un’indagine, così come successo a Castelverde. Come già detto, in questo caso Facebook non è la causa del problema, così come Instagram, dove non si trovano particolari segni di un successo clamoroso di questo challenge, ma forse la soluzione, dato che già nel 2017, proprio grazie ad una serie numerosa di segnalazioni, i fari si sono accesi su quella che poteva essere considerata a tutti gli effetti una problematica reale e che univa l’Italia da Nord a Sud.
Ma era il 2016 quando Leonardo.it raccontava di un episodio uguale avvenuto a Padova, approfittandone per denunciare altri folli e inutili gesti come l’attraversamento di una strada trafficata con il semaforo rosso o quello di binari in prossimità dell’arrivo di un treno.
Nello stesso anno la moda ha allarmato la Polizia Municipale di Senigallia e la zona industriale per un periodo è stata tenuta sotto severo controllo dopo che, anche in quel caso, su Facebook sono stati diffusi diversi racconti di automobilisti allarmati.
Tutte sfide di coraggio, niente che abbia a che vedere con la popolarità sui social. “Pensavo si trattasse di un animale o una persona investiti e lasciati in mezzo alla strada, magari da un “pirata”. – racconta un automobilista anonimo alla redazione lecchese de Il Giorno nel 2014 – Ho frenato bruscamente per evitare di travolgere quel corpo e sono sceso dalla mia auto. Un attimo dopo la sconcertante scoperta: ho visto alzarsi da terra una ragazzina, avrà avuto 13 o 14 anni, con i capelli chiari e le trecce. Mi ha guardato in faccia, si è alzata ed è andata via ridendo”. E a dimostrazione che i social, così come probabilmente gli Stati Uniti, non c’entrano nulla, nello stesso articolo viene ricordato un episodio simile avvenuto a Foppenico, sempre in zona Lecco, nel 1999.
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