MARCO BERTORELLO / AFP
Processo Eternit bis
Il tribunale di Vercelli ha rinviato a giudizio Stephan Schmidheiny, il magnate belga dell’amianto, con l’accusa di omicidio volontario per la morte di 392 persone, cittadini di Casale Monferrato, decedute per le conseguenze dell’esposizione all’amianto tra il 1989 e gli anni Duemila. È stata così accolta la richiesta dei pubblici ministeri Roberta Brera, Francesco Alvino e Gianfranco Colace. La prima udienza si terrà in corte d’assise a Novara il prossimo 27 novembre.
Si tratta dell’ennesima tappa di una vicenda processuale lunga e complessa, che ha coinvolto quattro Procure: Torino, Reggio Emilia, Napoli e Vercelli, quest’ultima competente per la sede di Casale Monferrato, la cittadina dell’alessandrino che ha pagato il prezzo più alto per morti di amianto.
A infiammare la vigilia sono state le dichiarazioni rilasciate dallo stesso Schmidheiny alla testata svizzera “Nzz am Sonntag”: “Mi sono reso conto di provare dentro di me un odio per gli italiani. Quando oggi penso all’Italia provo solo compassione per tutte le persone buone e oneste che sono costrette a vivere in questo Stato fallito. Non ho intenzione di vedere una prigione italiana dall’interno. Alla fine il mio comportamento sarà giudicato correttamente e un giorno verrò assolto”.
Il processo “Eternit bis” ha inizio a Torino nel maggio 2015 e vede come unico imputato Stephan Schmidheiny, già condannato dalla Corte d’Appello di Torino a 18 anni di carcere per disastro, ma poi definitivamente prosciolto per prescrizione del reato. A sostenere l’accusa è sempre il pm Raffaele Guariniello ma, rispetto al processo precedente, cambia il reato contestato: omicidio doloso aggravato nei confronti di 258 persone, tra ex lavoratori e residenti, morti tra il 1989 e il 2014 per mesotelioma pleurico causato dall’amianto.
Nelle prime udienze la difesa dell’imprenditore belga solleva l’eccezione della competenza territoriale, essendo una vittima residente a Cavagnolo, Comune del Torinese che rientra nella giurisdizione del Tribunale di Ivrea, e chiede lo spostamento del processo nella città eporediese. Il giudice respinge la richiesta, in quanto il fascicolo con il nome della persona deceduta è stato aperto prima del riassetto territoriale, ovvero quando Cavagnolo era ancora sotto la giurisdizione del Tribunale di Torino.
Nel giugno 2015 i legali di Schmidheiny avanzano al giudice la richiesta di annullamento del processo, in quanto secondo il principio del “ne bis in idem” non si può essere processati due volte per lo stesso fatto. Il gup decide allora di inviare gli atti ai giudici della Corte Costituzionale, che respinge la richiesta affermando che almeno per le morti avvenute dopo la chiusura del primo processo non si potrà applicare il ne bis in idem. Il processo va quindi avanti con la difesa Schmidheiny che chiede il proscioglimento dell’imputato per “insussistenza di colpa e dolo“.
Anche stavolta il gup respinge la richiesta decidendo però di derubricare l’accusa da omicidio volontario a colposo. Il 23 maggio 2019 il tribunale di Torino condanna a 4 anni di reclusione Schmidheiny, ritenuto responsabile delle morti di due operai dello stabilimento di Cavagnolo, Giulio Testore e Rita Rondano, entrambi deceduti per mesotelioma pleurico, dopo che il pubblico ministero Gianfranco Colace, che nel frattempo è subentrato a Guariniello, andato in pensione, aveva chiesto una pena di 7 anni.
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