Limbani è una piccola star del web, 519mila utenti di Instagram lo seguono assiduamente mentre mangia, va sullo skateboard, spazza per terra o dipinge su una tela. Tutto normale se non fosse che Limbani è uno scimpanzé di quasi tre anni che vive negli spazi della Zoological Wildlife Foundation di Miami.
I suoi follower lo amano e tutti i numerosi commenti non possono che essere positivi, e basta scorrere le immagini del suo profilo per innamorarsene inevitabilmente, tant’è che la fila per andarlo a trovare è tanto lunga quanto costosa (come riporta Quartz, ben 700 dollari per stare in sua compagnia 10 minuti con la possibilità di scattare anche qualche foto). Incontrarlo si posiziona al sesto posto sulla lista delle 310 cose da fare a Miami proposta dal sito TripAdvisor.
Sommario
I dubbi crescono
Molti però cominciano col tempo a storcere il naso, Limbani sarà davvero felice di essere protagonista di questi video? Si divertirà ad indossare costumini buffi o a fare cose che certamente non erano previste per uno scimpanzé, come appunto viaggiare spedito su uno skate?
Bisogna ammetterlo, sembra proprio di sì. Un occhio poco esperto lo definirebbe senza alcun dubbio un giochino e niente più, anzi, sul suo profilo c’è scritto chiaramente che le immagini di Limbani non stanno online esclusivamente per intrattenere i suoi fan, ma hanno anche il nobile scopo di partecipare alla causa degli stessi scimpanzé, umanizzandoli.
Missione compiuta in questo senso, nessuno potrebbe mai avere il coraggio di torcere un capello ad una scimmia dopo aver visto i video di Limbani. Ma se si guarda alla questione sotto un altro punto di vista, magari più scientifico, pare che le cose non stiano esattamente così.
A parlare è Andrew Halloran, direttore dell’assistenza di Save the Chimps, un santuario degli scimpanzé (chiuso al pubblico) a Fort Pierce, in Florida, che avvisa: “Ogni volta che vedi un video virale di un animale che agisce in modo innaturale, sii sospettoso, forse non sta ricevendo le migliori cure e il suo benessere è compromesso”. Mario S. Tabraue, direttore della fondazione Zoological Wildlife, si è rifiutato di rispondere alle domande di Quartz, definendole frivole e infondate.
Quello che Rosie Spinks, autrice dell’articolo in questione, ha scoperto è che, secondo un rapporto dello United States Department of Agriculture Animal and Plant Health Inspection Service, Limani è certamente l’unico esemplare di scimpanzé nella struttura, e non c’è bisogno di conferme scientifiche per stabilire che gli scimpanzé, così come gli umani, tramandano la loro “cultura” di generazione in generazione, così sarebbe più opportuno crescessero in comunità.
Scimpanzè (Guillame Souvant/AFP)
Un sorriso che inganna
Inoltre a quanto pare la suddetta fondazione pur avendo ottenuto la licenza dal Dipartimento dell’Agricoltura, così come tutti quegli spazi che espongono animali, non sarebbe accreditata alla AZA, Associazione Zoo e Acquari, e proprio la AZA in un documento, spiega che “le scimmie destinate a essere performer o oggetti fotografici vengono solitamente rimosse dalla madre poco dopo la nascita e, quindi, gli è negata ogni opportunità per un normale sviluppo sociale e psicologico”.
“Mentre questi scimpanzé saranno più sensibili ai loro proprietari umani, spesso mostrano comportamenti anormali (compresa l’auto-mutilazione) e non sono in grado di adattarsi a nessun gruppo sociale. Possono anche diventare pericolosi per i loro proprietari e gestori mentre invecchiano – prosegue l’AZA – quindi i gestori di scimmie devono spesso usare la privazione del cibo, l’abuso fisico, la sedazione continua o anche lo shock elettrico per mantenere il controllo”. In più, conclude l’associazione “Va notato che l’apparente sorriso di uno scimpanzé “è in realtà un’espressione di paura ben documentata”.
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