Un incontro nato dal caso, o meglio dalla fortuna: una locandina affissa per strada, in un comune alle porte di Roma, segnala la partecipazione di Luis Sepulveda alla Fiera dell’editoria indipendente “Liberi sulla carta”, a Farfa, in Sabina. Senza esitazione mi metto in contatto con gli organizzatori per avere maggiori dettagli e subito avverto le insegnanti delle scuole elementari di Monterotondo scalo che per un intero anno, quello di terza, hanno appena lavorato sulla “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, con grande entusiasmo degli alunni.
Unendo il dilettevole all’utile, organizzo anche un’intervista per il quotidiano con il quale collaboro in quel momento. Il 16 settembre 2016 parto in missione, taccuino e penna in borsa, orda di bambini di 8-9 anni al seguito, e arriviamo al borgo medievale a nord di Roma. Sepulveda stava cenando ad una tavolata con gli organizzatori e con Ilide Carmignani, la sua traduttrice italiana per la casa editrice Guanda.
Con un cenno della mano segnalo la mia presenza al direttore del festival e mi metto in attesa febbrile. Ci presentiamo con una calorosa stretta di mano e, prima di passare all’intervista, gli porgo il Lapbook, libro-gioco creato da mia figlia, timida dietro di noi. Vedendola le chiede subito di sedersi vicino a lui, un po’ come farebbe un nonno, e di presentargli il lavoro fatto in classe. Man mano che apre i cartoncini colorati sapientemente assemblati, che descrivono Amburgo, i personaggi e le loro frasi più divertenti, Sepulveda si commuove e lacrime agli occhi dice: “Tutto questo lavoro sul mio libro”.
Quando rimango sola con lo scrittore, accendo il registratore e prendo appunti. Parla con voce lenta e profonda, fa lunghe pause, risponde pazientemente e sapientemente a tutte le domande che spaziano dal suo percorso di vita alla geopolitica internazionale. Subito getta ponti tra il suo continente di origine e l’Italia, dicendo che “in America latina abbiamo tutti un po’ di sangue italiano nelle vene” e cita il neorealismo italiano come “innovazione e fonti di ispirazione per averci fatto vedere il grande miracolo della vita, senza limitazioni”.
Dall’alto della sua esperienza, ma con estrema semplicità e umiltà, sottolinea che il problema più grande che accomuna molti paesi del mondo è “un sistema globale che non funziona più”, mettendoci tutti di fronte alla necessità, alla sfida di “immaginare uno stile di vita diverso, più umano e solidale”. E in merito alle ingiustizie socio-economiche sotto gli occhi di tutti, lo scrittore militante attribuisce la colpa “alle mani di un gruppo anonimo, invisibile che sta a Wall Street, nella City di Londra, nei grandi centri decisionali, influenzandone ogni scelta, anche culturale”.
Spesso presentato come un ‘cileno errante’, Sepulveda si dice convinto che “la natura dell’uomo sia il nomadismo: spostarsi, guardare altre realtà, incontrare altra gente per generare un rapporto più universale invece di relazionarci soltanto con chi fa parte della tua stessa tribù”. Per lui il dramma infinito dei migranti che sbarcano a Lampedusa è da considerare “un’altra dimostrazione di un intero sistema sbagliato”, ma anche “il prezzo pagato dalla povera gente per il susseguirsi di interventi sbagliati delle potenze occidentali in regioni del mondo che prima avevano un equilibrio, seppur precario”. In merito al suo rapporto con la tecnologia, con grande umorismo mi risponde che considera i social network “strumenti solo utili per comunicare con i lettori” e, riprendendo il pensiero di Umberto Eco su internet, Sepulveda ironizza che “non solo ha aperto la porta a milioni di cretini, ma dà loro anche l’opportunità di diventare famosi”.
Finita l’intervista, ci incamminiamo lungo il vialetto di cipressi che porta alla sala gremita. Ai bambini attenti in prima fila consiglia subito di leggere: “fa bene a tutte le età, insegna ad immaginare e apre finestre sul mondo”. Durante il lungo e piacevole intervento ricco di spunti e di preziosi ricordi della sua infanzia, alternando aneddoti divertenti, pagine di storia, pillole di saggezza ed ottimismo, ringrazia gli insegnanti “che lavorano in condizioni complesse, sottopagati, pur avendo l’immensa responsabilità di formare le future generazioni”. Alla fine della serata con attenzione benevola saluta i bambini uno ad uno, autografando libri e lavori fatti in classe, posando con loro per le classiche foto ricordo.
Ora che il coronavirus lo ha portato via, mi sembra di sentire ancora la sua voce mentre parla. Un ricordo indelebile per me, per tutti quei bambini e genitori commossi che mi stanno scrivendo dopo aver appreso la notizia della sua scomparsa. Alla sua ultima presenza al Salone del libro di Torino, nel 2017, aveva invitato i politici ad “essere più generosi: lavorare per creare una nuova società da lasciare alle future generazioni, una società di cittadini e non di miserabili consumatori”. Oltre all’ultimo appello di cui fare tesoro, mai come oggi di attualità per ricostruire il mondo post coronavirus, Sepulveda ci lascia soprattutto la preziosa eredità del ricordo di quell’incontro, 4 anni fa.
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