Cronaca

“Per Pertini nel Psi c’era un rispetto religioso”. Il ricordo di Rino Formica

“Da Pertini presi più di una ramanzina, ma nel Psi la nostra generazione accettava tutto da quella che aveva vissuto il fascismo, c’era un rispetto quasi religioso”. Rino Formica, 93 primavere il prossimo primo marzo, diverse volte parlamentare e ministro socialista, traccia un ricordo dell’ex presidente della Repubblica, Sandro Pertini, a 30 anni dalla scomparsa, avvenuta il 24 febbraio 1990. 

Quando ha incontrato per la prima volta Pertini?

Nel 1944, quando venne a Bari dopo la liberazione di Roma, prima di calarsi tra i partigiani del Nord. Io ero segretario della giovanile socialista della città. Pertini doveva restare poco, ma poi sostò per 15-20 giorni perché non arrivava il via libera degli alleati al trasporto nel Nord Italia con un aereo militare. In quei giorni di attesa scrisse anche una sua biografia per il nostro giornalino”. 

La prima impressione?

Era entusiasta, generoso, un personaggio istintivo e imprevedibile nelle reazioni. Un uomo tutto slancio e passione. Aveva poi una particolare predilezione per le nuove generazioni e per la rinascita del Partito socialista dopo il fascismo. 

Che rapporto aveva con il Psi, il suo partito?

Ha dedicato tutta la sua vita alla causa del socialismo. Però ha avuto sempre una posizione molto autonoma, spesso estranea alla logica del partito e delle correnti.  

Da capo della Resistenza a presidente della Repubblica ‘nonno’ degli italiani. Pertini cambiò molto nel corso degli anni?

Diciamo che smussò pian piano i lati più spigolosi del suo carattere. Fu eletto in Parlamento, poi diventò presidente della Camera e infine presidente della Repubblica: è un uomo che è maturato all’interno delle istituzioni. Da combattente, esule, antifascista, uomo dell’intransigenza, alla fine diventò il ‘nonno’ di tutti gli italiani. 

Prese anche posizioni controverse: fece un elogio di Stalin, alla morte del dittatore sovietico, e difese l’intervento dei carri armati russi a a Budapest nel 1956… 

È molto facile prendere una frase e puntare il dito, ma Pertini a quelle parole non fece seguire con continuità una linea politica. Soprattutto i personaggi che hanno avuto una storia lunga, bisogna sempre contestualizzarli nel periodo in cui vissero o in cui dissero una cosa. Quella di Pertini era una generazione, la stessa di Pietro Nenni, per cui le divisioni a sinistra avevano drammaticamente favorito l’avvento del fascismo. E poi aveva condotto la guerra fianco a fianco con i comunisti.

Stalin, alla sua morte, era ancora quello che aveva sconfitto il nazismo, il rapporto sui suoi crimini non era ancora stato reso pubblico da Kruscev. Per quella generazione valeva una frase di Giuseppe Saragat: ‘Il fascismo e il comunismo furono due cose diverse, il fascismo fu la vergogna del capitalismo, il comunismo la tragedia del socialismo’. 

Come si arrivò nel 1978 all’elezione al Quirinale di un uomo ‘anti sistema’ come Pertini? 

Il Psi presentò una rosa di tre nomi: Sandro Pertini, Giuliano Vassalli e Antonio Giolitti. Ma su gli ultimi due, Dc e Pci storsero il naso. Vassalli e Giolitti, infatti, erano considerati più organici, rispetto a Pertini, alla politica di Craxi.

Inoltre c’era stato da poco il rapimento e l’assassinio di Moro, e Pertini fu tra i pochi nel Psi che si schierò per la linea della fermezza, come Dc e Pci, sostenendo che non si dovesse trattare con le BR per cercare di salvare la vita di Moro. In più il Pci era contrario a Giolitti perché era un ex comunista, e a Vassalli perché aveva difeso il presidente dimissionario, Giovanni Leone, tirato in ballo nello scandalo Lockheed. 

La sua migliore qualità e il peggior difetto?

Sulla qualità non ho dubbi: la nitidezza, il candore, il suo coraggio nell’affrontare questioni anche spinose. Mentre il difetto principale era la sua istintività perché, spesso, quando si è istintivi c’è una debolezza nelle riflessioni. 

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