Cultura

Parà italiani per l’ultima missione della seconda guerra mondiale

Tre giorni di furiosi combattimenti e duemila tedeschi presi prigionieri

I paracadutisti credevano in quello che facevano, con grande motivazione, e a riprova ci fu l’atteggiamento dell’equipaggio del Dakota con a bordo il capomissione, il maggiore britannico Alan Ramsey: quando il pilota annunciò che non gli era stato possibile individuare la zona di lancio e quindi sarebbe tornato indietro, gli italiani già pronti all’azione protestarono vivacemente. I sabotatori vennero sparsi in una vasta aerea e questo aumentò nei tedeschi il convincimento che i paracadutisti fossero molti di più di quelli che erano in realtà.

La situazione sul campo, dove i soldati poterono contare sulla guida dei partigiani e anche del supporto di fuoco, trasformò una missione da commandos a tempo limitato in una battaglia spezzettata ma prolungata fino al 23 aprile, con attacchi e contrattacchi, minamenti, interruzione delle comunicazioni tedesche, conquista di ponti, una polveriera fatta saltare in aria, distruzione di blindati e mezzi militari e sconcerto totale tra le linee nemiche. Furono ben duemila i tedeschi che si arresero ai paracadutisti italiani. Gli scontri vennero pagati con la vita di 21 parà, 14 feriti e 10 dispersi, a testimonianza dell’asprezza degli scontri ma anche del valore mostrato dai ragazzi di “Folgore” e “Nembo”.

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