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Casapound
Per un danno erariale pari a 4,5 milioni di euro in relazione alla mancata riscossione per 15 anni del canone del palazzo occupato di via Napoleone III, a Roma, dove si trova anche la sede di CasaPound, la procura regionale della Corte dei Conti ha emesso un atto di citazione a giudizio nei confronti di otto persone, tra dirigenti dell’Agenzia del Demanio e del Miur. L’udienza per la discussione è fissata al 21 aprile prossimo. Lo stabile, di proprietà pubblica, è un edificio di sei piani: la storia della sua occupazione è stata ricostruita dal nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza.
Sommario
L’occupazione e le indagini
L’immobile, che nel settembre del 1958 il Ministero delle Finanze-Direzione Generale del Demanio concesse in uso governativo al Ministero della Pubblica Istruzione (poi Miur), cominciò ad essere occupato abusivamente a partire dal dicembre del 2003, a seguito di uno sgombero e di trasloco dei vecchi uffici, da esponenti del movimento politico di estrema destra. CasaPound, nei cui confronti la magistratura contabile non può intervenire trattandosi di un’associazione di diritto privato, motivò l’occupazione dicendo di voler fornire un’abitazione a circa 20 famiglie. Da allora cominciò un lungo contenzioso fatto di denunce, esposti, rimpalli di responsabilità tra enti e organi istituzionali per capire se fosse o meno praticabile lo sgombero degli occupanti e quali azioni fosse necessario adottare.
Dalle indagini è emerso che nel 2018 all’amministrazione comunale risultava che nello stabile fossero residenti 34 italiani, di cui 12 minori, 3 anziani e 3 persone note alla Sala Operativa Sociale per un totale di 17 nuclei familiari. Ad essere utilizzati sono 58 vani (come abitazioni private), 3 magazzini, 3 stanze di uso comune e due sale conferenze. Per la procura regionale contabile, “dai fatti descritti e accertati” è derivato “un danno concreto e attuale alle pubbliche finanze derivante dal mancato utilizzo o messa a reddito dell’immobile occupato, con relativa perdita economica per le finanze pubbliche”. Ai 4,5 milioni di euro si è arrivati calcolando l’ammontare complessivo dei canoni che si sarebbero dovuti riscuotere da CasaPound e dalle famiglie occupanti dal primo gennaio 2004 al 31 maggio 2019.
“Dai dirigenti preposti iniziative inconcludenti”
Nell’atto di citazione si legge che “nel caso concreto i convenuti dirigenti preposti agli uffici competenti non hanno dato disposizioni per agire in via di autotutela amministrativa e per coltivare le azioni civilistiche volte alla restituzione del bene e al risarcimento dei danni che, richiesti in via autonoma o nell’ambito di azioni penali o civili possessorie e petitorie (mai intentate o mai coltivate), sarebbero stati liquidati in sede giudiziaria (sempre in misura pari ai canoni di locazione non percepiti)”.
Gli 8 direttori pro tempore della direzione Roma Capitale dell’Agenzia del Demanio e ai dirigenti competenti pro tempore del Miur, secondo la Corte dei Conti, “non hanno dato disposizioni per richiedere l’indennità di occupazione ‘sine titulo’ agli occupanti l’immobile in questione e per costituirli in mora, a partire dall’Associazione Casapound. Il comportamento dei convenuti appare censurabile anche per la genericità delle inconcludenti iniziative adottate in un lasso di tempo certo sufficiente ad intraprendere altre e più adeguate strade quali, quelle amministrative e giudiziarie descritte a titolo di mero esempio nel presente atto (non spettando a questa Procura fornire dettagliate indicazioni sulla condotta lecita da attendersi dai convenuti)”.
“Situazione abnorme in uno Stato di diritto”
Per la magistratura contabile, “la vicenda in questione manifesta, con tutta l’evidenza della semplice narrazione dei fatti, la gravissima negligenza e la scarsissima cura (mala gestio) che l’amministrazione pubblica ha mostrato nei confronti di un intero edificio di proprietà pubblica di ben sei piani, che per oltre 15 anni è stato sottratto allo Stato ed alle finalità pubbliche, in palese violazione delle piu’ elementari regole della (sana) gestione della cosa pubblica”. Insomma “non è possibile dubitare della conoscenza dell’occupazione da parte delle amministrazioni e dei suoi dirigenti preposti al ramo di competenza – e dunque dell’identità del soggetto occupante – per la semplice ragione che essa, come emerge in particolare dal volantino dell’epoca, è’ avvenuta alla luce del sole ed è stata addirittura oggetto di una rivendicazione politica (“abbiamo occupato”), con tanto di indicazione dello stabile pubblico “espropriato” quale “punto di incontro, per tutto il rione”, nonché, addirittura, sede stessa dell’associazione (“Casapound, Via Napoleone III”, in basso a sinistra)”.
“Senza contare che se l’esigenza era ed è quella di dare una abitazione a soggetti in difficoltà o disagio abitativo (il che come visto, è’ tutto da verificare), occorreva ed occorre attivare le previste procedure di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica o altre forme di assistenza abitativa, mentre tollerare per oltre un decennio l’occupazione abusiva, dunque al di fuori di ogni regola, di decine e decine di appartamenti di proprietà pubblica, peraltro in uno stabile prestigioso del centro di Roma, oltre ad essere abnorme in uno Stato di diritto ed essere fonte di potenziale “disintegrazione della stessa convivenza civile” (per dirla con Cassazione 24198 del 2018, cit.), finisce per ledere anche le situazioni giuridiche soggettive di tutti gli aventi diritto che da anni attendono l’assegnazione di una abitazione, in base alle regolari procedure amministrative, ai titoli di ciascun richiedente (situazione socio-economica, di reddito, ecc.) e alla posizione nelle relative graduatorie”.
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