Fede contro rispetto delle regole, forza della tradizione contro il buon senso dei suggerimenti della scienza moderna. E un don Matteo meno saggio di quello interpretato in una nota serie Tv.
Non ce l’hanno fatta, ieri sera, a San Marco in Lamis, 13.000 anime nel Parco del Gargano, a resistere a una ‘tentazione’ (per nulla demoniaca e, anzi, cristiana).
In circa 200 hanno partecipato alla celebrazione del Venerdì santo, che si è svolta regolarmente nonostante i divieti di assembramento per evitare il contagio del Coronavirus. Ieri sul sagrato della chiesa dell’Addolarata c’erano il parroco, il sindaco del centro garganico, Michele Merla, e tantissimi cittadini.
C’erano uomini, donne, anziani e anche bambini: qualcuno con la mascherina e qualcun altro senza, in un paesino che all’inizio dell’epidemia vide il funerale di una persona uccisa dal Covid-19.
“Ho commesso un errore. Lo so. È stato complicato, avrei dovuto interrompere quel momento di preghiera”, ha ammesso il sindaco, che ieri era stato redarguito dal prefetto di Foggia Raffaele Grassi e dal Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano. “Ho accettato – ha spiegato Merla – l’invito a partecipare alle celebrazioni religiose di don Matteo Ferro, specificando che non dovessero prender parte i fedeli.
Poi quando abbiamo iniziato a pregare le persone che abitavano in zona sono scese in strada. Lo hanno fatto in maniera composta, anche rispettando, in un certo qual modo le distanze di sicurezza. A quel punto avrei dovuto interrompere il rito religioso ma non l’ho fatto, e mi assumo le responsabilità”.
La decisione di tenere le celebrazioni ha scatenato le ire di un’altra piazza, quella virtuale dei social. “Oggi – scrive Nico nel suo profilo a commento di una delle foto della cerimonia incriminata – è morta la razionalità, la responsabilità. È andata in scena per le vie paesane, udite udite, la Via Crucis. Non ho parole….roba da pazzi”.
“Le scuse postume del sindaco – scrive Paolo – qualificano l’errore ma non vi pongono rimedio. Sono l’aggravante che dovrebbe infliggere condanna senza attenuanti. Le sue dimissioni sarebbero atto di redenzione opportuno e doveroso”.
Alla fine ha chiesto scusa anche il sacerdote: “In questo momento sono confuso, amareggiato. Mi auto accuso, mi viene da piangere”, ha detto don Matteo asciugandosi le lacrime. “Era solo un atto di fede. Ho sentito il vescovo, loro sanno le stesse cose che ho detto. Spero che passi. Chi mi vuole crocifiggere, condannare può farlo. Ma bisogna capire che tutto è stato fatto in buona fede. Io amo la mia gente, amo il mio sacerdozio anche se in questo momento vivo questa sofferenza interiore”.
Non poteva mancare – tra fedeli, preti, primi cittadini e frequentatori dei social – l’intervento della magistratura. La procura di Foggia aprirà una inchiesta. “Sono in attesa – ha detto il procuratore capo Ludovico Vaccaro – dell’informativa dei carabinieri. Faremo un’attenta ricostruzione dell’accaduto e l’accertamento delle responsabilità di tutti”.