Cronaca

“Non siamo sacrificabili”. La lotta degli operai della Lobo

“Noi non siamo sacrificabili”. Il cartello mostrato  dai 4 delegati sindacali in uno strano pomeriggio azzurro e silenzioso davanti alla fabbrica chiusa spiega perché da ieri i 272 dipendenti della ‘Lobo’ siamo in sciopero. Cornaredo, hinterland milanese, 20mila abitanti alcuni dei quali lavorano qui da generazioni. “Orgoglio operaio che si tramanda– racconta all’AGI uno dei quattro, Giuseppe Fabrizio, indicando il più giovane  – soprattutto ora che il governo ha deciso di non bloccare le aziende, mettendo a rischio la nostra vita. Eppure non siamo medici o infermieri, produciamo bulloni, non beni essenziali ai cittadini”.

Impossibile mantenere la distanza di sicurezza di almeno un metro, una delle prescrizioni ritenute cruciali per evitare il contagio del coronavirus: “Se rimanessimo immobili si potrebbe fare perché gli spazi sono ampi. Nella realtà è quasi impossibile perché, facendo controlli sulla qualità, finiamo con l’alternarci a una stessa postazione, dove c’è una specie di microscopio sul quale appoggiamo gli occhi, uno dopo l’altro. E poi quando dobbiamo spostare i pesi bisogna essere almeno in due altrimenti il carico finisce a terra. Siamo esposti a un rischio continuo, alla sera quando andiamo a casa ci laviamo per bene ma le nostre famiglie sono preoccupate anche perché nel nostro paese il virus è già arrivato, ci sono dei casi”.

Più che con l’azienda, ce l’hanno col governo e la regione “che sacrificano il bene della salute agli interesse di Confindustria”. La proprietà invece ha giustificato la mancanza di presidi sanitari per proteggersi con la difficoltà a reperirli sul mercato ma in queste ore si è messa al tavolo e, di fronte alla braccia consorte dei lavoratori, si è mossa  verso le loro richieste.

“Da lunedì, saranno chiusi gli spogliatoi e la mensa – dicono i delegati – si lavorerà sei ore e non otto e, saltando il turno centrale, ci saranno meno occasioni di incrocio tra di noi. Inoltre, la fabbrica verrà sanificata. In questo momento, molti si sono messi in ferie, circa il 40 per cento, e la produzione, che già prima di questa crisi rallentava, è calata molto”.  

Gli operai si definiscono “parzialmente soddisfatti, anche se il nostro obbiettivo era la chiusura totale di almeno una settimana, ma l’azienda ci ha spiegato che ci sono esigenze produttive non rinviabili perché sono scadute delle consegne ai nostri clienti, che sono internazionali, soprattutto francesi”. Resta il problema della distanza, anche lunedì e del microscopio: “Sarebbe meglio se ne occupasse uno solo di quel lavoro. Almeno però dovremmo avere dei disinfettanti”. “Se le cose peggioreranno – avverte Giuliano – faremo un altro sciopero”.  

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