In un contesto emergenziale quale quello che stiamo vivendo, “l’urgenza del provvedere induce spesso una tendenza anomica, che porta ad agire prescindendo da una cornice di regole uniformi. È quanto si è registrato nelle prime settimane della pandemia, inducendoci a invitare i datori di lavoro ad astenersi dal raccogliere, a priori e in modo sistematico e generalizzato, informazioni sulla sintomatologia del lavoratore o sui suoi contatti”.
È quanto ribadito dal Garante della privacy, Antonello Soro, nel corso di una audizione davanti alla commissione Lavoro del Senato. “La specificità del rischio sanitario da cui proteggere i lavoratori – ha ricordato Soro – ha reso evidente l’esigenza di coordinare le iniziative datoriali all’interno di un quadro uniforme, articolatosi nei protocolli tra governo e parti sociali, recepiti con dpcm”.
Ma anche nell’emergenza in atto, resta necessario “sottolineare la rilevanza della distinzione di compiti – e quindi, di riflesso, di potere informativo – tra datore di lavoro e medico competente, sancita dalla disciplina lavoristica. Il primo adempie i propri obblighi di garanzia dell’incolumità dei lavoratori, senza tuttavia avere cognizione diretta delle loro patologie ma disponendo dei soli elementi fondativi del giudizio di idoneità alla mansione specifica. Solo al secondo, invece, quale professionista sanitario, spetta la valutazione della necessità di sottoporre i lavoratori a particolari analisi diagnostiche, se ritenute utili anche, in particolare, al contenimento dei contagi, come prevede il citato protocollo tra governo e parti sociali”.
“Gli accertamenti – ha concluso Soro – devono, in ogni caso, essere condotti dal medico competente o da altro personale sanitario e possono comprendere la proposta di test sierologici, i cui esiti devono pero’ essere riservati al medico stesso. Quest’ultimo è anche l’unico soggetto legittimato a suggerirli, quali esami specifici da disporre, ove opportuno, in ragione di parametri epidemiologici obiettivi”.
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