Francesco Fotia / AGF
Tabelloni per i manifesti elettorali
Mentre i pm di Roma hanno depositato l’intercettazione in cui Paolo Arata, il consulente di Salvini, parla di una mazzetta al sottosegretario leghista Armando Siri, adombrando presunte influenze mafiose sugli affari dell’eolico in Sicilia, ed entro martedì il premier Conte si riserva di decidere sulla permanenza nel governo dello stesso Siri (dalla Cina avvisa: “Se opterò per l’addio, lo scollerò dalla sedia”), da Latina sembrano arrivare nuovi sospetti per il partito guidato da Matteo Salvini: “Rom per Salvini” titola la prima pagina Il Fatto Quotidiano. Di che si tratta? Di una “inchiesta sui boss e la Lega nel Lazio”.
La notizia l’aveva già data venerdì la cronaca romana de la Repubblica, ma oggi il quotidiano diretto da Marco Travaglio torna sulla vicenda raccontando che “per la Lega di Matteo Salvini, alle amministrative del 2016 a Latina, ci sarebbe stato uno sponsor d’eccezione: il clan dei Di Silvio”.
In poche parole, secondo la deposizione del pentito Agostino Riccardo, ex appartenente al clan Di Silvio, “allegata a due inchieste coordinate dalla Dda di Roma, sia il clan Di Silvio – al centro di un’operazione che nel maggio scorso portò a 25 arresti – sia l’imprenditore pontino Raffaele Del Prete – che ha patteggiato la sua pena a tre anni di reclusione per traffico illecito di rifiuti – si erano spesi per far ottenere un buon risultato elettorale ad alcune liste collegate alla Lega”. Pagati per attaccare manifesti e fare campagna elettorale a “Noi per Salvini”.
Dice il pentito, arrestato lo scorso anno nell’inchiesta della Dda di Roma sulla mafia rom di Latina: “Abbiamo operato l’affissione dei manifesti il giorno prima delle elezioni, contravvenendo al divieto, da mezzanotte alle sei di mattina, in tal modo il giorno dopo a Terracina e Latina, dove avevamo il partito ‘Noi con Salvini’, le città erano tappezzate dei manifesti dei candidati che sponsorizzavamo”.
Non solo: “durante lo spoglio delle elezioni siamo stati tutte le prime ore della mattina (…) a controllare i risultati. Eravamo a cento metri dai Vigili del Fuoco, vicino al palazzo di Corica, era la sede della lista elettorale ‘Noi con Salvini’”. Il pentito Riccardo racconta anche di accordi con Gina Cetrone, giovane candidata nelle liste del centrodestra. Il patto prevedeva “10.000 euro solo per l’affissione dei manifesti, altri 10.000 euro per le spese”. La Cetrone si sarebbe rivolta in diverse occasioni ai Di Silvio: “Ci mandò a fare un’estorsione da 70 mila euro”, dice il pentito che racconta del desiderio della Cetrone di avere dai Di Silvio ‘una sorta di scorta perché arrivava un pezzo grande della politica’”. Aggiunge poi Agostino: “I soldi i politici te li danno, ma non vogliono quella pressione che normalmente si utilizza”.
A destare l’attenzione dei pm, coordinati dal procuratore aggiunto Michele Prestipino – secondo Il Fatto – “inizialmente erano stati alcuni volantini elettorali (…) trovati in una Citroen Picasso grigia utilizzata dal clan. Gli arrestati, ritiene l’accusa, non erano dediti solo a usura, estorsioni e spaccio, ma procacciavano voti comprandoli e minacciando gli elettori“.
Secondo il giornale a fare da sfondo a questa vicenda c’è “lo strano fascioleghismo pontino nato dentro l’Ugl”, lo storico sindacato legato al Movimento sociale italiano, il Msi, nel quadro di uno storico legame tra “ex missini e andreottiani” e iniziato con “il golpe contro Renata Polverini nel sindacato di destra” della quale l’ex Presidente della Regione Lazio è stata la Segretaria nazionale prima di approdare alla Pisana.
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