
AGI – La buona borghesia delle grandi città europee fu riscaldata, tra Otto e Novecento, dall’accattivante febbre dei “tavolini danzanti”. Lo spiritismo – bordeggiando fra puro passatempo e sperimentazione scientifica – riempiva le serate come fanno adesso le serie tv.
Consistente differenza tra ora e allora, è che i convegni medianici imponevano una socializzazione necessaria alla formazione delle “catene” e alla registrazione degli esperimenti, catalizzando nei salotti molti viventi ripartiti sotto varie specie (creduloni, curiosi occasionali, scienziati, burloni e mestatori) e necessariamente molti morti, veri o presunti a seconda del grado di fede, o di fiducia, nella genuinità dei fenomeni.
Polemiche divampavano incessanti fra i due partiti, degli scettici e degli spiritisti, sfociando spesso in pubblici duelli che per fortuna restavano verbali. O quasi sempre. Perché ci fu un caso in cui la diatriba parve, si sottolinea parve, venir risolta addirittura a colpi di pistola.
È quel che avrebbe riportato Le Figaro del 30 settembre 1886 riferendo della morte di un insolente giornalista, il quale si firmava con lo pseudonimo di Baby, per mano di un collega contendente e convinto spiritista: Vincenzo Morello.
Si trattò di una fake news, cui il prestigioso quotidiano francese aveva abboccato confidando troppo nella cronaca del giornale napoletano Il Piccolo, dov’era apparsa per primo la notizia. L’artefice occulto della bufala, quando ancora la professione giornalistica lasciava spazio alla goliardia personale, era Roberto Bracco, ossia il titolare medesimo del nom de plume Baby. Che chiudeva così, con uno scherzo, una diatriba spiritica da lui stesso fomentata a Napoli, dove s’era particolarmente diffuso l’interesse per la medianità, che richiamava anche illustri nomi delle scienze mediche.
Protagonista di quegli anni, e oggetto della garbata quanto convinta contestazione letteraria di Bracco, fu la medium Eusapia Palladino, celeberrima prima in città poi in tutto il mondo e che avrebbe fatto breccia persino presso il campione del positivismo, Cesare Lombroso (il quale non sconfessò il proprio credo scientifico, ma cercava di appurare la natura dei fenomeni medianici per asserire che anche l’anima consistesse solo di materia).
Insigne drammaturgo e scrittore che avrebbe sfiorato il Premio Nobel, brillante giornalista, figura di spicco nel milieu culturale napoletano, Bracco godeva ancora, in quel 1886, di una spensieratezza che le vicende della vita gli avrebbero affiochita fino alla morte nel 1943.
E a quella spensieratezza diede sfogo dopo avere assistito alle sedute della Palladino, che gli riconfermarono l’iniziale scetticismo, in un libretto scritto con verve, velocità e ironia. Lo Spiritismo a Napoli nel 1886, pubblicato da Pierro, riscosse un successo di vendite che testimonia quanto fosse diffuso l’interesse per l’argomento: centocinquantamila copie al prezzo di copertina di cinquanta centesimi.
Il volume fu ristampato ventun anni dopo, nel 1907, dall’editore Perrella. Quindi, mentre il mondo cambiava e cambiavano Napoli e Bracco, finì in quell’immane soffitta di cose dimenticate o citate di rado, che quando riscopriamo c’inducono al sorriso o alla malinconia per un’epoca “Bella” proprio per definizione storica.
Belle époque malgrado i tormenti che la piagarono: restando sotto il Vesuvio si contarono il colera, il caso Cuocolo, il disagio sociale, la corruzione amministrativa, un trauma postunitario mal riassorbito. Eppure erano mali che impallidirono al raffronto con gli anni successivi, quelli della Grande Guerra e dell’epidemia di spagnola.
Da quell’immane soffitta, mentre quest’incerto 2022 si avvia alla conclusione, il libro è stato ripescato da Colonnese Editore sicché Bracco è tornato finalmente sugli scaffali (grazie anche all’interesse del critico Giuseppe Pesce, cultore attento del drammaturgo): Lo Spiritismo a Napoli (pagine 190, 15 euro) è riproposto in un’elegante veste tipografica – cover ovviamente nera – per la collana Parthenope.
L’introduzione, intitolata al “lungo sorriso di Baby”, è firmata da Francesco Palmieri, autore che ha dedicato diversi libri ai misteri e alle affascinanti sorprese che Napoli vela e rivela. Con la prolifica costanza di una capitale culturale che seppe anche sorridere di se stessa, e che continua a farlo.
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