AGI – “Siamo tutti stranieri agli occhi di qualcun altro”. La saggia riflessione di Nonna, una dolce anziana albanese che, con la sua vita, il suo coraggio ha dato una speranza a un gruppo di bambini siriani che non hanno più una casa o un riferimento, fa da contrappunto ai tormenti di Nur che rimpiange l’appartamento che ha visto crollare sotto le bombe.
Ma dove troverà Nur il suo rifugio? In un’altra casa, in un’altra famiglia dove non c’è più un focolare, c’è una lingua diversa, in una tenda in un accampamento creato per i rifugiati, in una città greca, dove c’è solo un mare che sarà di tutti.
Sarà il tormento di Popi, la ragazzina albanese nata greca, sarà quello del bambino siriano e della ragazzina congolese, tutti uniti dal cane Safi che fa da collante tra diversi affetti. Ma il pensiero della Nonna è espresso anche da molti altri giovani, messi di fonte alle difficoltà che l’incomprensione e l’odio presenti ovunque, generano impietosamente. perché la “diversità” non è considerata una occasione di apprendimento e di crescita, ma un ulteriore ostacolo alla comprensione ed alla solidarietà.
I racconti raccolti da Nicolò Govoni, cooperante e presidente dell’associazione Still I Rise, autore da oltre 100mila copie, condensati questa volta nel volume “Ogni cambiamento è un grande cambiamento” (Rizzoli editore), riflettono storie vere, filtrate dalle esperienze dei suoi studenti.
Storie che sono una goccia nell’oceano di tutte quelle che nascono tra le vicende personali dei rifugiati nel mondo, in mezzo ai quali Govoni ha portato un suo “cambiamento” radicale realizzando, ad esempio, una scuola per i bambini che l’avevano perduta, ingoiata, come tante, dal mostro della guerra, o dalle persecuzioni, della fame, e soprattutto della perdita dell’infanzia alla quale hanno invece diritto.
Un “cambiamento” questo, anche piccolo, come afferma l’autore, “ma che è per loro un grande cambiamento in grado di ribaltare il mondo”. E sono le piccole cose, come ci insegna il libro, che ci aprono alle grandi. Tutti i racconti infatti, sono disperate ricerche del sogno di una famiglia, di una comunità basata sull’amore, dove origine, razze, abitudini, si fondono nel caldo focolare degli affetti.
Govoni ci racconta ad esempio l’attesa di Njoki sulle rive del fiume Congo che spera nel ritorno della sorella fuggita per amore, un amore difficile e quasi senza speranza, avvelenato dagli odi razziali. E ci racconta della lunga lettera che Wasim, sfuggito all’arruolamento forzato, scrive alla sorellina Isra, genio del calcio femminile che, innamorata di Messi, riceverà in dono una maglia del calciatore come regalo del fratello rifugiato.
C’è poi la storia di un albino, l’unico del suo villaggio, che viene additato come figlio di una strega e sarà costretto a cercare un altro tetto, un’altra famiglia per poter avere una speranza di un futuro. Incredibile, poi, è la storia di un bimbo, strappato alla morte da una famiglia che sfidando più volte il pericolo, riesce a portare a riva, dopo avere creato una catena umana nelle acque tumultuose del fiume Congo, il corpicino del neonato messo in una cesta galleggiante, per risolvere un conflitto di razza.
Un nuovo Mosè, che sta a significare il trionfo della vita nello squallido scontro tra ataviche concezioni tribali. Lo scopo di questi racconti vuole essere, come precisa l’autore, un incoraggiamento a diffondere sempre più il diritto allo studio, negato e ostacolato dalla barbarie della guerra, dell’ignoranza, e dall’indifferenza di governi lontani anni luce dal dovere di assicurare il sacrosanto diritto all’apprendimento.
“È davvero un libro che contiene le storie dei nostri studenti – ha spiegato Nicolo Govoni all’AGI – che vivono nei paesi in cui operiamo e abbiamo operato. Storie che raccontano attraverso gli occhi dei bambini, cosa vuol dire essere migranti, minatori, sfollati. Sono racconti di vita vera che nascono da un progetto fatto a inizio anno: abbiamo diffuso nelle scuole delle tracce, per avere dai nostri studenti delle pillole della loro realtà. Indicazioni tipo: dimmi cosa vuol dire famiglia; quando è che hai avuto coraggio; chi è il miglior amico per te. E io le ho scritte, mescolate, riviste. E da questo mix, emerge che per i bambini guerra e povertà non possono e non devono ostacolare i loro sogni e obiettivi. Nonostante le gravi condizioni in cui versano, questi bambini hanno desideri e sogni comuni a quelli dei loro coetanei italiani, europei”.
Govoni, chiedendo la diffusione di ciò che ha scritto per un concreto sostegno alla sua attività, ci dice con orgoglio di avere condotto negli ultimi quattro anni 40 mila ore di lezione, servito 300 mila pasti, erogato 20 mila ore di terapie e 150 tonnellate di beni per le scuole, rifiutando sovvenzioni pubbliche.
Perché con Still I Rise, sono state aperte diverse scuole internazionali come quella in Kenya e presto anche in Colombia, o di emergenza come in Siria e Congo che offrono, nel primo caso, il Baccalaureato, un titolo prestigioso riservato solo alle elite, proposto in questo caso, anche ai bambini vulnerabili e profughi.
E lo scopo è quello di permettere loro un tipo di istruzione che consenta di potersi integrare nel tessuto sociale e diventare la classe dirigente di domani, anche nello stesso Paese di origine. perché Still I Rise educa in emergenza ma educa anche a ricostruire.
“Sì – afferma Govoni – questo concetto è il nostro cavallo di battaglia. Lo considero il nostro privilegio più grande. Lavoriamo in scuole di emergenza ma anche in scuole internazionali. E siamo certificati e premiati per questo. Diamo l’occasione ai bambini vulnerabili di diventare i prossimi politici, i nuovi leader. C’è una grande dissonanza quando si è sradicati dalla propria terra. Nessuno dovrebbe essere messo in condizione di dover andare via. Certo, questo sarebbe il mondo perfetto, ma non è cosi. E allora dobbiamo creare le occasioni per cercare di invertire la rotta. Non diamo le briciole aprendo una semplice scuola. Ma scuole di eccellenza. Le persone svantaggiate devono poter avere la possibilità di diventare le menti forti di domani”.
La prima scuola in emergenza da cui poi è partita Still I Rise, è stata “Mazi”, sull’isola di Samos che ora è chiusa: “E per noi questo – prosegue Govoni – è un successo. Lo so che non piace a molti quello che sostengo ma per me, un progetto non deve restare aperto all’infinito. Altrimenti si scivola nell’assistenzialismo. Dopo quattro anni di scuola in Grecia, ci siamo accorti che il nostro lavoro non era più necessario mentre prima era vitale visto che non c’era un centro educativo sull’isola per i bambini profughi. Mazi è stata la prima scuola. Quattro anni dopo il nostro servizio era obsoleto. Era stato fatto un lavoro istituzionale a livello educativo e quindi basta, la nostra scuola non era più necessaria. Il campo profughi a Samos non c’era piu’, al suo posto c’è un centro nuovo, con condizioni di vita migliori. Noi abbiamo spinto l’apparato europeo a fare meglio il loro lavoro. E poi, i bambini rimasti andavano finalmente alla scuola pubblica. Missione compiuta. Un progetto non può rimanere aperto in eterno. Al contrario chiuderlo, vuol dire che la crisi è risolta. L’obiettivo della cooperazione internazionale deve esser quello di rendere se stessa obsoleta. E risolvere è motivo di festeggiamento. Da Mazi è nata Still I Rise, non dimentichiamolo”.
Come “vive” l’associazione?
“Con fatica – spiega ancora Govoni, rifiutiamo fondi di governi, e istituzioni che non passano le nostre regole etiche. Non siamo sempre d’accordo su come operano questi enti. Nella cooperazione può capitare che sia il soldo a dettare la direzione. Noi siamo indipendenti, abbiamo donatori privati, persone nomali o aziende che riscontrano aderenza fra il nostro lavoro e quello in cui credono”.
A cosa serve l’ultimo libro “Ogni cambiamento è un grande cambiamento”?
“Non solo ad amplificare le voci dei bambini che hanno donato le loro storie ma anche supportare il loro sogno. Prossimamente ci muoveremo per apire una scuola In Colombia, sempre di livello internazionale e i proventi del libro andranno a supportare l’iniziativa come già accaduto con altre iniziative editoriali. La Colombia è il secondo paese del mondo per accoglienza di profughi. è un pase che ha tante problematiche sociali. E noi, anche lì – conclude – vogliamo creare la scuola che abbia la forza di liberare i bambini delle favelas per fare in modo che un giorno l’elite mondiale non sia formata solo dalla vecchia casta ma anche da menti nuovi e illuminate per un futuro più giusto”.
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