Cronaca

Le donne vittima di violenza spesso non sanno dove andare

denunciare violenze donne dove andare

Alessandro Serranò/AGF

Maria Monteleone

“Le disponibilità di accoglienza per le donne che fuggono da situazioni familiari di violenza sono assolutamente poche rispetto alle reali esigenze. Sono davvero irrisorie. Io stessa mi sono dovuta attivare, a volte anche di notte, con carabinieri e polizia perché venisse trovato al più presto un alloggio, una qualunque sistemazione che accogliesse queste donne, spesso anche con bambini piccoli al seguito, in cerca di aiuto. Il numero delle cosiddette Case rifugio in Italia è davvero insufficiente”. Lo spiega all’AGI Maria Monteleone, il magistrato coordinatore del ‘pool’ antiviolenza della procura di Roma che da anni persegue i reati contro la libertà sessuale, la famiglia, i minori ed i soggetti vulnerabili.

I numeri di un fenomeno in crescita

I procedimenti aperti per maltrattamenti in casa – stando ai numeri contenuti nella relazione della procura generale della Corte d’appello di Roma – hanno subito nell’ultimo anno un’impennata del 12%: 1.788 fascicoli nel 2019 contro 1.596 del 2018. E c’è stato un incremento del 18,4% anche delle richieste di misure cautelari personali (790 contro 667), di cui 332 tra carcere e domiciliari e 414 divieti di avvicinamento o di allontanamento dall’abitazione familiare.

Per il reato di maltrattamenti, poi, sono state arrestate in flagranza o fermate 88 persone (93 lo scorso anno). Il fenomeno della violenza di genere, dunque, continua a preoccupare. I femminicidi lo scorso anno sono stati 5, due in più del 2018.

Quando le vittime non denunciano

“Noi facciamo il possibile – premette Maria Monteleone – per intervenire con tempestività quando c’è una denuncia o una segnalazione. Ma, oltre alla carenza delle Case rifugio, dobbiamo fare i conti con un altro problema, altrettanto grave, più culturale che riguarda le stesse donne vittime di violenza, le quali impiegano tanto tempo prima di rivolgersi all’autorità giudiziaria o a un Centro di accoglienza. Capitano spesso casi in cui prima denunciano l’autore di abusi e violenze, e poi preferiscono ritrattare.

Ogni giorno abbiamo a che fare con esempi di questo tipo. La donna uccisa tre giorni fa in Sicilia dal marito che la maltrattava da anni aveva prima sporto denuncia contro di lui, poi era andata in un Centro di accoglienza che ospita persone in difficoltà. Quindi aveva ritirato la denuncia e fatto ritorno a casa, perché l’uomo, dal quale lei voleva separarsi, era riuscito a convincerla a tornare sui suoi passi. Ebbene, il marito l’ha picchiata per tre giorni senza aiutarla, fino a farla morire. Questo esempio dimostra che così come è stato concepito, il Codice Rosso (la legge contro la violenza sulle donne introdotta nel luglio scorso per inasprire le pene sui reati di genere, ndr) non serve”. 

“Nel settembre scorso – ricorda ancora il magistrato Maria Monteleone – c’è stato a Milano un altro caso di femminicidio che il Codice Rosso, ai suoi esordi, non ha saputo evitare: quello di una donna che aveva denunciato il marito dell’ennesima aggressione, quando i maltrattamenti andavano avanti dal 2012, e che è stata uccisa a coltellate quattro giorni dopo quella denuncia. La polizia giudiziaria l’aveva ascoltata subito e le aveva consigliato di cambiare casa. Lei aveva detto che si sarebbe trasferita dalla figlia per un po’ ma dopo due giorni era andata a cena al ristorante con il marito. Alla fine lui è riuscito a salire da lei nel suo appartamento e l’ha uccisa”.

“E questo è successo – chiarisce Maria Monteleone – non perché ci sia stata scarsa attenzione da parte del magistrato o di chi ha raccolto la denuncia ma perché è stata la donna stessa, che evidentemente non ha trovato o cercato il giusto supporto e conforto tra le persone più vicine (familiari e amici), a non capire quanto fosse diventata davvero grave la sua situazione personale, a non percepire il pericolo”.

“A Roma – conclude – facciamo di tutto per affrontare con efficacia ed efficienza i casi di violenza domestica. Nella capitale, tra l’altro, vengono inflitte condanne pesantissime per questi reati. Quindici giorni fa un uomo, in abbreviato, e quindi con lo sconto di pena pari a un terzo, è stato condannato a 5 anni e mezzo per maltrattamenti in famiglia. È tantissimo. E statisticamente abbiamo registrato un calo delle assoluzioni. Molto è stato fatto, ma evidentemente dobbiamo tutti fare di più”.

Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a dir@agi.it

Post simili: