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Una classe vuota
L’anno prossimo sederanno ai banchi di scuola 70 mila alunni in meno. E’ quanto emerge dalle tabelle sulle iscrizioni secondo cui per l’anno scolastico 2019/20 sono iscritti 69.256 studenti in meno, un calo dello 0,9% che assume dimensioni diverse se si considera l’andamento degli ultimi tre anni, in diminuzione costante e crescente.
Nel 2016/17 erano 45 mila le sedie vuote, l’anno successivo 67.754 mentre quest’anno in 75.215 non hanno risposto all’appello. In totale si sono persi 188.583 alunne e alunni nei quattro anni scolastici a partire dal 2015/16, con un calo del 2,4%.
Secondo il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, che oggi incontra i sindacati della scuola per discutere anche di questo problema, la causa “è il frutto del normale andamento demografico che risente dei periodi di crisi economica e poi si riflette sulla popolazione scolastica”. Alla luce di questo “stiamo valutando di aprire un dialogo per rivedere i parametri sulle autonomie scolastiche in maniera più tarata sul territorio”, commenta il ministro. Il problema – osserva Il Giornale – potrebbe avere degli effetti rilevanti anche sul contesto sociale ed economico; con il minor numero di iscritti, difatti, il Miur potrebbe dover ridimensionare gli organici degli insegnanti.
Sommario
Al sud il calo più vistoso
Il calo più evidente, riporta il sito “La tecnica della scuola”, è al Sud e un po’ minore al Nord. Con una regione virtuosa, l’Emilia Romagna “che a settembre porterà 1.484 alunne e alunni in più nelle aule” e un fanalino di coda rappresentato dalla Basilicata “dove da settembre entreranno nelle aule 1.742 studentesse e studenti in meno, un calo del 2,23%”.
Tre leve per risolvere la crisi
Secondo tuttavia Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, “sarebbe miope concentrarsi solo sugli effetti scolastici del declino demografico; lo scambio tra quantità (dei giovani) e qualità (della loro istruzione) è sostenibile solo entro certi limiti: con le aule vuote, che senso ha continuare a investire nella scuola?”.
“I Paesi europei che sono riusciti a mantenere a livelli soddisfacenti i loro trend demografici – lancia una soluzione Gavosto – lo hanno fatto con un mix di tre leve: politiche fiscali più amichevoli nei confronti delle famiglie con figli; servizi per l’infanzia accessibili e di qualità; politiche dell’immigrazione più o meno selettive, attente ad attrarre e a coltivare le giovani generazioni istruite. In Italia le tre leve sono bloccate: in particolare, sulle politiche migratorie si sta andando in direzione opposta, privilegiando scelte muscolari di chiusura, senza comprendere che i giovani immigrati possono essere una risorsa fondamentale per lo sviluppo del Paese”.
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