AGI – “I vestiti incrociati male sono rivoluzionari”. Se a dirlo è Alessandro Michele uno dei più rinomati creativi nel campo della moda, per sette anni direttore creativo in Gucci e oggi per la Maison Valentino, c’è da crederci. In un libro scritto a quattro mani con Emanuele Coccia, insegnante di filosofia presso l’ècole de hautes études en Science Sociales di Parigi, autore e giornalista, viene indagato il rapporto di Alessandro Michele con le cose, partendo dai ricordi d’infanzia.
“La vita delle forme”, uscito per HarperCollins Italia, è un libro rivelatore che delinea verità spesso dissimulate sotto la superficie delle esperienze umane. Attraverso una profonda introspezione, l’opera non solo riporta alla luce tali verità celate, ma invita anche a riscoprire e ad apprezzare l’incanto che permea le nostre esistenze quotidiane attraverso gli occhi e l’esperienza di uno dei direttori creativi più stimati e ricercati.
Nella cornice di Villa Medici a Trinità dei Monti, gli autori intervistati dalla scrittrice Teresa Ciabatti hanno potuto raccontare il rapporto della moda con l’arte e la simbiosi che si crea con gli oggetti. Tutto è partito con una borsetta – ha ricordato Ciabatti ripercorrendo alcune delle pagine del libro che danno il via al ritratto di un bambino attratto dalle cose luccicanti. “Ero un cacciatore di cose straordinarie e mia madre aveva questa borsetta – la mia gioia era portare la borsetta, uscirci. Per un bambino del 1972 non esisteva. Ma mio padre non aveva problemi né con la borsetta, né con le cose che luccicavano perché forse il più strano era lui. E strano è molto libero” racconta Michele.
Con le sue creazioni di abiti, sfilate, mostre e comunicati stampa, ha ridefinito il concetto di moda, trasformandolo in una forma di espressione sia politica che estetica. Dietro la scelta di ogni capo d’abbigliamento si cela una profonda consapevolezza che rispecchia l’identità di ognuno di noi: è con questa riflessione che si fonde il punto di vista singolare di Emanuele Coccia, portando il lettore a esplorare temi quali la memoria, la mutevolezza dell’identità e la fragilità degli stereotipi di genere nell’epoca contemporanea.
E per passare alla moda in senso stretto, Coccia la definisce una forma di arte “abitabile”. Non un quadro che si contempla, non una scultura da osservare o un film da vedere, ma intercambiabile e che “coincide con la vita”. L’abito diventa quindi un “cavallo di Troia per l’arte per entrare nella vita di tutti”.
Perché dei vestiti, ricorda Michele, “siamo schiavi, riguardano un’azione che dobbiamo fare per forza. Però i vestiti sono un segnale pazzesco del nostro essere, del dove vogliamo stare. Anche quando non indossiamo certi capi”.
E così il libro si insinua anche in quella che è la visione di Michele e del suo mondo fatto di cose. Come le sue collezioni di cagnolini che “richiedono attenzione quasi come quelli veri”, della materialità così presente nella sua casa e di quel peluche azzurro che si porta dietro dall’infanzia e al quale ogni sera sistema il cuscino. La credenza è quella di vedere un aspetto magico negli oggetti, di attraversare un presente che non rigetta il mondo passato, ma anzi torna a maneggiarlo e fargli vivere nuove vite. Proprio come quella borsetta rubata alla mamma, da bambino, e persa per sempre in un locale romano quando un amico si è travestito da Liz Taylor. “Peccato si, ma ci stava benissimo”.
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