L’inchiesta sui fondi della Lega Nord, culminata nella sentenza della Cassazione che prescrive il reato di truffa per Umberto Bossi e l’ex tesoriere Francesco Belsito, condannati in appello rispettivamente a un anno e 10 mesi e a 3 anni e 9 mesi, si sviluppa dai primi mesi del 2012. Allora Belsito venne indagato con le accuse di truffa ai danni dello Stato e riciclaggio per la sua gestione dei rimborsi elettorali ricevuti dal partito, trasferiti in parte – secondo gli inquirenti – all’estero, in particolare a Cipro e in Tanzania, e qui investiti in varie attività, tra cui l’acquisto di diamanti.
La vicenda aveva portato alle dimissioni di Bossi dalla carica di segretario, seguite da quelle dei suoi più stretti collaboratori, e al processo celebrato a Genova. Al centro del procedimento, i rimborsi elettorali ricevuti dall’allora Lega Nord tra il 2008 e il 2010, per un totale di 48.969.617 euro, secondo l’accusa utilizzati anche per spese personali, principalmente della famiglia Bossi.
Nel luglio 2017 si arriva alle condanne di primo grado del fondatore della Lega (2 anni e 5 mesi), di Belsito (4 anni e 10 mesi) e di altre 5 persone (tre dipendenti del partito e due imprenditori). Con quella sentenza, i giudici di Genova disposero anche la confisca diretta di quasi 49 milioni a carico del Carroccio, perché “somma corrispondente al profitto, da tale ente percepito, dai reati per i quali vi era stata condanna”.
Di conseguenza, la Procura di Genova aveva chiesto e ottenuto, nel settembre 2017, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca della somma indicata. Ma le cifre effettivamente sequestrate ammontavano allora a poco più di 2 milioni. Qui si era inserita la richiesta dei Pm genovesi di estendere l’esecuzione del sequestro, richiesta poi respinta dal Riesame di Genova.
La Cassazione, però, con la sua decisione del 12 aprile 2018, ha accolto il ricorso della Procura e ha stabilito “l’esistenza di disponibilità monetarie della percipiente Lega Nord che si sono accresciute del profitto di reato, legittimando così la confisca diretta del relativo importo, ovunque e presso chiunque custodito e quindi anche di quello pervenuto sui conti e/o depositi in data successiva all’esecuzione del provvedimento genetico”.
Un accordo tra Procura di Genova e gli avvocati della Lega Nord, raggiunto lo scorso settembre, aveva disposto la restituzione a scaglioni della somma in rate da 100 mila euro a bimestre. Con un piano di pagamenti da 600mila euro l’anno, la restituzione avverrà in 80 anni.
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