Il paese è piccolo – meno di diecimila abitanti – e la gente, si sa, mormora. E gli sguardi sospettosi erano troppo evidenti per non essere notati dalla coppia di cinesi appena tornata da una vacanza nel villaggio d’origine. E da uno sguardo sospettoso a una debacle economica il passo è troppo breve, deve aver pensato la donna, che a Roncadelle gestisce con il marito una sartoria molto conosciuta in tutta la provincia di Brescia.
Sui giornali e in tv ha già letto e sentito troppe volte di episodi di intolleranza nei confronti di cinesi, non importa se nati in Italia che magari non hanno mai messo piede in Cina o se lavoratori appena tornati dalle vacanze del Capodanno, per non preoccuparsene. E sa bene come funziona l’istinto umano: la solidarietà e persino la voglia di risparmiare finiscono per cedere il passo di fronte alla paura del virus.
Così, prima ancora di vedere il laboratorio di sartoria svuotarsi senza capire perché, ha deciso di giocare d’anticipo e di mettere a tacere tutte le voci, spegnere gli sguardi sospettosi, smontare tutte le paure. Come? Facendo, senza che le venisse chiesto, quello che tutti volevano che facesse, ma non avevano il coraggio di chiederle: mettersi in quarantena.
La sarta più conosciuta di questo minuscolo paesino della bresciana, per rassicurare i clienti, si è messa in quarantena volontaria. “Siamo tornati dalla Cina l’1 febbraio, per sicurezza faremo una pausa di 14 giorni, il negozio riaprirà il 17 febbraio”, si legge sul cartello esposto martedì sulla sulla vetrina del negozio. In attesa che cali la tensione – o anche solo l’attenzione – intorno all’epidemia. Ha da passa’ ‘a nuttata, diceva Eduardo.
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