Cronaca

La Ong che aiuta i migranti che vogliono lasciare l’Italia e tornare a casa

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A volte un rimpatrio può essere un progetto per il futuro: non una rinuncia e una fuga ma una nuova partenza. Si torna a casa per poter ricominciare una vita, migliore, senza doversi per forza staccare dai propri affetti. Su questo lavora Cefa, l’ong nata a Bologna nel 1972 come Comitato europeo per la formazione e l’agricoltura e che negli anni si è trasformata per offrire una risposta alle nuove emergenze. E la più recente riguarda i migranti.

Cefa non si occupa di accoglienza di chi arriva ma di accompagnamento di chi vorrebbe tornare a casa propria perché non ha trovato in Europa ciò che andava cercando. “Persone ai margini della società, a un passo della disperazione, che con i nostri progetti riescono a ritrovare la dignità”, spiega all’AGI Andrea Tolomelli che per Cefa è responsabile dei progetti in Marocco, Tunisia e Libia.

Negli anni Novanta l’organizzazione si occupa di investire nei luoghi di partenza, non solo nell’Africa subsahariana, ma anche nel Maghreb e nell’Albania: i progetti sul tavolo vanno dagli investimenti nell’agricoltura all’alfabetizzazione. Dal 2011 si compiono i primi passi nel campo di quello che viene definito il Rimpatrio volontario assistito. Grazie a un bando del ministero dell’Interno, seguendo una direttiva Ue del 2008, vengono stanziati 2.400 euro per ogni persona che intende fare rientro nella terra d’origine. “Non è un bonus d’uscita”, spiega Tolomelli. “Sono i soggetti interessati a contattarci. Per ogni caso facciamo fino a quattro colloqui in modo che la persona sia convinta della scelta. Poi viene inoltrata la domanda in prefettura che può autorizzare o rifiutare. La possibilità è per chi ha un permesso di soggiorno in scadenza o già scaduta. E, in ogni caso, chi lascia il Paese per l’ultima volta deve consegnare i suoi documenti agli agenti della frontiera e non può fare rientro in Ue per almeno tre anni. Non accettiamo casi di persone che tornando nel loro Paese potrebbero rischiare di non vedersi garantiti i diritti o di non ricevere l’assistenza di cui hanno bisogno”.

I fondi non vengono ceduti direttamente al rimpatriato. “Noi ci occupiamo del biglietto del viaggio, poi quattrocento euro vengono dati per le spese in Italia prima di partire”. Il resto solo una volta a destinazione. “Qualche giorno dopo il rientro dell’interessato, facciamo i primi colloqui per il business plan. Non diamo soldi direttamente ma compriamo bene e servizi”. E gli esempi sono tanti. A partire dal Marocco dove dal 2011 a oggi sono rientrate oltre 200 persone (contando anche gli altri Paesi, i rimpatri gestiti da Cefa sono circa 450).

“C’è chi ha comprato un mezzo per fare le consegne, chi ha trasformato il garage di casa propria in una bottega di quartiere, chi ha investito nell’agricoltura perché figlio di agricoltori”, continua Tolomelli. Merita di essere citato il caso di Rachid, un 30enne marocchino che in Italia è riuscito a restare solo un anno perché non vedeva prospettiva. “Ha fatto rientro con il nostro programma. Ha messo su un allevamento di pulcini nella sua terra natale, Ait Melloul, nel Sud. Tre anni dopo aveva già ampliato la sua attività e assunto altre persone”.

Non mancano però i fallimenti. “Alcuni dopo un anno si sono ritrovati di nuovo senza nulla, ma in certi non è prevedibile”. Il modello dei rimpatri volontari è stato adottato anche dalla Francia e, di recente, dalla Germania. “La Francia destina ben 6.500 euro, oltre 4 mila in più rispetto all’Italia, e possono essere usati anche per arredare la casa o per iscriversi all’università. In Germania in bandi sono gestiti dal ministero degli Esteri, non dell’Interno, e questo sottolinea la visione che si ha di questi progetti”. D’altronde il vantaggio anche per lo Stato è innegabile: “Un rimpatrio coatto costa 5.500 euro, solo per il biglietto e per gli agenti accompagnatori”. Senza alcuna prospettiva.

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