Pierpaolo Scavuzzo / AGF
Papa Francesco davanti al presepe
Un amore così forte da vincere la paura, grazie al quale anche ciò che nella Chiesa non va troverà il suo riscatto e potrà essere momento di rinascita. Papa Francesco celebra la messa della notte di Natale sottolineando ad ogni parola, ad ogni gesto, con ogni inflessione della voce la grandezza di un messaggio cristiano per cui tutto è bellezza, tutto è tenerezza. E l’uomo, e gli uomini che sono smarriti e inadeguati, sono agli occhi di Dio oggetto di amore senza fine. E allora “quello che nella vita va storto, quello che nella Chiesa non funziona, quello che nel mondo non va non sarà più una giustificazione”.
Sommario
“Dio arriva gratis”
La notte di Natale, spiega il pontefice citando San Paolo, “è apparsa la grazia di Dio che porta salvezza a tutti gli uomini”. Una cosa “completamente gratuita. Mentre qui in terra tutto pare rispondere alla logica del dare per avere, Dio arriva gratis. Mentre non eravamo all’altezza, Egli è venuto tra noi. Natale ci ricorda che Dio continua ad amare ogni uomo, anche il peggiore”. Insomma, Dio “ti ama e basta. Il suo amore è incondizionato, non dipende da te. Puoi avere idee sbagliate, puoi averne combinate di tutti i colori, ma il Signore non rinuncia a volerti bene”. Inoltre “grazia è sinonimo di bellezza. Nel bene e nel male ai suoi occhi appariamo belli: non per quel che facciamo, ma per quello che siamo. C’è in noi una bellezza indelebile, intangibile, una bellezza insopprimibile che è il nucleo del nostro essere”. Come si può avere paura, se queste sono le premesse dell’esistenza? Quindi “coraggio, non smarrire la fiducia, non perdere la speranza, non pensare che amare sia tempo perso”. Piuttosto “posiamo lo sguardo sul Bambino e lasciamoci avvolgere dalla sua tenerezza. Non avremo più scuse per non lasciarci amare da Lui: quello che nella vita va storto, quello che nella Chiesa non funziona, quello che nel mondo non va non sarà più una giustificazione”.
La leggenda di Natale
Tutto ciò “passerà in secondo piano, non ci sono scuse”. E a questo punto il Papa che porta il nome del più grande Rifondatore, autore del primo presepe vivente sette secoli fa, ricorda non un passo dei vangeli canonici, ma “una graziosa leggenda” di Natale. Eccola: “Alla nascita di Gesù, i pastori accorrevano alla grotta con vari doni. Ma c’era un pastore che non aveva nulla. Era poverissimo, non aveva niente da offrire. E allora Maria, che doveva reggere il Bambino, vedendo quel pastore con le mani vuote, gli chiese di avvicinarsi. E gli mise tra le mani Gesù. Quel pastore, accogliendolo, si rese conto di aver ricevuto quanto non meritava, di avere tra le mani il dono più grande della storia. Guardò le sue mani, quelle mani che gli parevano sempre vuote: erano diventate la culla di Dio. Si sentì amato e, superando la vergogna, cominciò a mostrare agli altri Gesù, perché non poteva tenere per sé il dono dei doni”. E la Chiesa, che ha molte cose che non vanno, a quel pastore somiglia.
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