AGI – Singapore, Tokyo, Nuova Delhi e Seul. Mai prima d’ora in queste metropoli è stato possibile apprezzare una mostra completa sull’arte contemporanea italiana, dal ‘900 a oggi. L’impresa è riuscita al nostro ministero degli Esteri, l’unico al mondo a essersi trasformato nel giro di vent’anni in un ‘museo’ che tutti ci invidiano.
Dalla Collezione Farnesina, che conta quasi 700 opere esposte nella sede del ministero, ne sono state scelte una settantina per “La Grande Visione Italiana”, mostra che ha appena concluso il suo primo tour asiatico registrando un successo oltre qualsiasi aspettativa.
Fra le opere in mostra – ora dirette a New York, nel Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite – vi sono pezzi realizzati da artisti celeberrimi come Carla Accardi, Mimmo Jodice e Michele Pistoletto, solo per citarne alcuni. Sono un “campione” della ben più vasta ‘Farnesina Gallery’, la ricca e dinamica collezione d’arte del ministero degli Esteri che tutto il mondo c’invidia.
Il successo del tour asiatico de “La Grande Visione”, tuttavia, non sarebbe stato possibile senza una altrettanto grande visione: l’innovativo progetto portato avanti nel tempo con passione e tenacia, dall’ex segretario generale della Farnesina, l’ambasciatore (oggi a riposo) Umberto Vattani.
Ai microfoni di AGI, Vattani, il fondatore della Collezione, ha spiegato come è nata e in che contesto si è sviluppata l’idea di raccogliere alcune opere-manifesto della nostra arte contemporanea per esporle nel palazzo che dal 1959 ospita il ministero degli Esteri.
La Collezione Farnesina sta veicolando l’immagine dell’Italia contemporanea nel mondo. Da dove prese le mosse il progetto iniziale?
“Nel 1986 mi trovavo a Londra, dove era in preparazione la visita di Stato dell’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga, una visita molto impegnativa. Lo andai a trovare al Quirinale per proporgli, tra l’altro, di regalare qualcosa di più originale dei doni che normalmente si presentano in queste occasioni. Gli proposi infatti di donare alla città di Londra una fontana italiana con una scultura. Cossiga trovò l’idea stravagante ma non si oppose. Feci allora in modo di far realizzare la fontana che aveva come punto focale una statua in bronzo, la Nereide, di Emilio Greco. Fu sistemata vicino alla nostra ambasciata, in una piazzetta al centro di Carlos Place, dove tuttora si trova. Gli inglesi la ribattezzarono ‘la Fontana italiana’, cosa che ovviamente ci fa piacere.
Nello stesso anno incontrai il critico Maurizio Calvesi, curatore della biennale di Venezia. Gli raccontai quanto avevamo realizzato a Londra e lui ne fu molto sorpreso. Da quel momento cominciò ad interessarsi alle nostre iniziative.
Due anni dopo, in occasione del quarantesimo anniversario del Piano Marshall, suggerii al Presidente del consiglio, Ciriaco De Mita, di collocare una grande opera, questa volta di Arnaldo Pomodoro, a Los Angeles, dove avrebbe incontrato il Presidente americano Ronald Reagan. Quest’iniziativa suscitò grande interesse e venne giudicata come un bellissimo gesto del governo italiano. La scultura, ‘Colpo d’ala’, si trova tuttora sullo specchio d’acqua, di fronte al teatro dell’Opera”.
Quando è rientrato al ministero, alla fine degli anni ’90 però succede qualcosa…
“Quando tornai in Italia dalla Germania, una decina di anni dopo, trovai il Palazzo della Farnesina non molto dissimile da come lo avevamo ereditato nel 1960, quando il ministero fu traferito Oltretevere dal centralissimo Palazzo Chigi (n.d.r. sede del ministero degli Esteri dal 1922 al 1961). Era certo un’aria diversa da quella che si respirava al centro di Roma, a pochi passi da Montecitorio, nelle vicinanze del Pantheon e poco distante da piazza Venezia. Il trasferimento in quella che a molti sembrava una periferia deluse i diplomatici che si sentirono quasi emarginati. Per circa quarant’anni non si fece nulla per abbellire un palazzo i cui immensi spazi – dagli atrii, allo scalone d’onore fino ai corridoi – ricordavano il Ventennio. Al mio rientro il travertino delle facciate era annerito al punto che nel cortile d’onore non si leggeva più il grande bassorilievo realizzato da Pietro Consagra. Decisi quindi di parlarne con il capo della diplomazia di allora, il ministro Lamberto Dini, suggerendo di intervenire in qualche modo, anche per proiettare un’immagine nuova e al passo coi tempi del nostro ministero: ‘Le delegazioni estere in visita alla Farnesina, osservai, non possono che pensare al passato, possiamo invece creare una nuova narrativa inserendo in questo edificio opere di artisti italiani contemporanei’.
Il problema sollevato da Dini fu subito quello dell’assenza di una voce in bilancio per acquistare opere d’arte. Effettivamente non lo avevamo, ma intrattenevo da sempre rapporti con numerosi artisti e avrei potuto convincerli a prestarci delle opere.
Così andai da Pietro Consagra chiedendo in prestito una scultura, poi mi rivolsi a Piero D’Orazio, a Carla Accardi, Achille Perilli e a tanti altri ancora. Una volta esauriti i contatti, chiesi aiuto allo stesso Calvesi che avevo incontrato a Venezia nel 1986…In poco tempo il ministero cambiò immagine a partire dal primo piano, dove gli ambienti più frequentati dagli ambasciatori e dalle delegazioni straniere erano stati ‘tappezzati’ di opere. Sculture e tele arrivarono anche negli uffici, sempre al primo piano. Poi, quando il primo non bastò più, si cominciò a salire al secondo e poi al terzo piano. Oggi in tutti i piani del ministero vi sono opere d’arte: non solo negli spazi condivisi, ma anche nelle sale per le riunioni e negli uffici. Calvesi, il primo a capire l’importanza di questo sforzo e a condividere l’obiettivo di creare nel tempo una collezione, mi facilitò in questo compito”.
Un altro elemento chiave per la Collezione è stato il comodato d’uso gratuito per le opere. Una formula di prestito altrettanto originale per quegli anni…
“Questo non fu il frutto di una ‘crisi dell’immaginazione’: non disponevamo di fondi e l’unica alternativa praticabile era il prestito. Una formula che presentava un enorme vantaggio rispetto all’acquisto: gli artisti restavano proprietari delle loro opere che potevano ritirare o sostituire. La Collezione Farnesina, perciò, non è un accumulo statico di pezzi d’arte ma una collezione vivente, che continua a stupire chi torna al ministero dopo qualche anno di assenza”.
Da questo punto di vista il ministero degli Esteri è stato un precursore dei tempi, ce lo conferma?
“Quando noi abbiamo cominciato a costruire la collezione, i grandi ‘templi’ dell’arte contemporanea non esistevano ancora. Il Maxxi di Roma, non aveva ancora visto la luce, ma non esisteva neppure il Museo Madre di Napoli, il Mart di Rovereto e il museo del ‘900 di Milano. Siamo stati dei precursori e, senza usare fondi pubblici, con mezzi praticamente inesistenti, abbiamo messo in piedi una collezione che ci viene invidiata da tutti. Le sedi dei ministeri degli Esteri degli altri Paesi sono generalmente caratterizzate dalla riservatezza e dai controlli, il Palazzo della Farnesina si presenta invece come un edificio straordinariamente ‘trasparente’ e aperto al pubblico. Un pubblico nuovo, sempre più numeroso e molto diversificato che, negli anni, ha scoperto la Collezione Farnesina apprezzandola sempre di più”.
Quale impatto ha avuto la Collezione?
“La collezione ha avuto un duplice effetto: anzitutto, è riuscita a colpire l’immaginazione dei ministri e delle delegazioni straniere in visita da noi. Ho sentito Madeleine Albright (segretaria di Stato degli Usa dal 1997 al 2001) esclamare di stupore mentre saliva lo scalone d’onore. Quando venne in visita volle vedere le opere esposte al primo piano, mentre il ministro degli esteri francese, Hubert Vedrine, si chiese se il Quai d’Orsay non dovesse imitare la nostra iniziativa. Dimenticava, tuttavia, che la loro sede del ministero degli esteri, un bell’edificio d’epoca napoleonica, ricco di dorature, cornici e decori, poco si prestava ad ospitare opere contemporanee. Al contrario della Farnesina che è un contenitore perfetto”.
Qual è stato il senso di un tour asiatico per le opere della Collezione?
“Dobbiamo anzitutto al talento impareggiabile di Achille Bonito Oliva la scelta di 71 opere, su 700 che compongono la Collezione Farnesina. Scelta non facile perché l’obiettivo era quello di rappresentare l’intero panorama artistico italiano, dal ‘900 ai nostri giorni, mostrando come l’Italia non ha mai conosciuto epoche nelle quali non c’è stato un progresso straordinario nelle arti e nelle scienze. Il nostro Paese è conosciuto soprattutto per le antichità romane, il Rinascimento e il Barocco e, generalmente, si trascurano le epoche attuali. Questo è un errore perché anche il ‘900 ha visto nascere grandi maestri di cui bisognerebbe conservare con maggiore cura il ricordo e le tracce.
Abbiamo anche dimostrato come un ministero degli Esteri, al di là dei colloqui politici, delle collaborazioni in campo economico e in altri ambiti, può usare anche un’altra ‘arma’, quella definita oggi come l’arma del ‘soft power’: un’arte più leggera, giocosa che attira l’attenzione e agevola il dialogo. Nei momenti più duri, quando si manifestano interessi contrastanti o tensioni, l’arte può riuscire ad attenuare le animosità. Anche per questo la nostra nazione da sempre ha esercitato un’influenza che va ben oltre a quelle che sono le sue dimensioni, le sue forze e le sue ricchezze.
Abbiamo, infine, dimostrato come in pochi anni la Farnesina è stata capace di mettere insieme un complesso d’opere d’arte che bene rappresenta l’articolato panorama artistico italiano del ‘900. La nostra collezione non è un ‘museo’ perché non condivide uno dei difetti tipici delle raccolte museali: quello di tenere separate le opere d’arte dalla vita quotidiana. Al ministero degli Esteri le opere sono sempre lì, arricchiscono l’ambiente e scandiscono la vita di tutti i giorni, dando un senso agli spazi in cui si trovano. Un esempio che ricorda da vicino quello del Bernini che sistemava le sue sculture all’interno delle Chiese e degli edifici, luoghi teatro della quotidianità”.
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