Stile di vita

In smart working chi si fa carico dell’aumento dei costi energetici?

AGI – Smart working sì, smart working no oppure mai più? Siamo di fronte al dilemma. Il Dl Aiuti bis ha prorogato a metà settembre lo smart working nel settore privato fino al prossimo 31 dicembre, almeno per i soggetti fragili e i genitori con figli piccoli. Ma le pressioni per rimettere mano al lavoro da casa sono già in corso. Da un lato la maggior parte dei dipendenti preme per prolungarlo e renderlo, per comodità, il più possibile stabile, dall’altra imprenditori e aziende private e non solo tali, sollecitano il rientro negli uffici quanto prima. Come andrà a finire non è ancor detto.

Al momento è in corso un braccio di ferro sotterraneo: lo smart working rischia però d’essere vanificato da un dato di fatto, perché quello che dal 1969 a oggi è stato ribattezzato come “autunno caldo”, di lotte e di contrattazioni, quest’anno per via della guerra, la crisi energetica, l’aumento delle bollette di luce e gas, può passare alla storia come il primo “autunno freddo”, anzi freddissimo, quasi gelido. Ciò che rischia di sconvolgere tutte le posizioni, i principi e le leggi e le teorie costruite in questo ultimi uno o due anni sul lavoro agile.

Il motivo è semplice: nessuna delle parti in causa, imprenditori come dipendenti, vuole rimetterci del proprio, in termini energetici, di bolletta, di spesa in luce e gas, complessivamente in aumenti del costo della vita. Potremmo trovarci presto dinanzi a un bivio: da un lato le aziende che, per risparmiare in termini di luce elettrica e di riscaldamento a gas negli uffici, tendono a sospingere i lavoratori a rimanere a lavorare da casa mentre i secondi, per non doversi accollare personalmente le spese delle bollette salite alle stelle, chiedono invece di rientrare in ufficio, con un improvviso e complessivo cambio di fronte nelle posizioni.

Il caro energia spegne le città e riporta i dipendenti pubblici in smart working”, titolavano alcune pagine di giornale ancora nelle settimane scorse. Ma che vada così non è affatto scontato, perché nessuno dei soggetti in causa – datori di lavoro e lavoratori – vuole assumersi in proprio l’onere dei costi energetici cresciuti a dismisura negli ultimi mesi. Del resto, già nella fase della prima turbolenta e un po’ improvvisata sequenza del lavoro da casa molti dipendenti avevano lamentato la mancanza di organizzazione e di essere costretti ad usare, per esempio, il proprio computer, il proprio wi-fi, denunciando anche in alcuni casi la sospensione dei buoni pasto, ma oggi la questione rischia di diventare esplosiva considerato il grande balzo all’insù dei costi energetici.

Ridurre le spese energetiche, la soluzione coworking

Se per esempio un ente come la Regione Lazio si sta attrezzando a varare un piano di risparmio energetico da attuare nelle sedi di Roma e del Lazio, tra cui sono previste anche la riduzione dell’illuminazione negli uffici, con forse la chiusura anticipata di alcune strutture o degli uffici che non hanno contatti con il pubblico e che non forniscono servizi essenziali e la diminuzione della temperatura del riscaldamento come già fissato dal Governo per l’arrivo della stagione invernale, ci sono aziende che invece programmano turni di notte per poter meglio risparmiare.

La crisi energetica e il caro bollette mordono. Così imprese, aziende pubbliche e private, società, uffici sono di fronte ad un condizionamento inedito dovuto ai costi che oggi devono affrontare con un inevitabile riposizionamento sui criteri dello smart working in modo di poter intervenire a ridurre le spese energetiche dovute al riscaldamento, l’illuminazione e costi vivi vari. Un tema sicuramente nuovo, se non inedito finora. Ciò che si prefigura come una forma di “esternalizzazione dei costi” che si sposta inevitabilmente dalle aziende ai dipendenti. C’è dunque nei fatti un riposizionamento dello smart working, rispetto alla precedente esperienza dovuta alla pandemia, perché consentirebbe alle aziende di ridurre le spese di riscaldamento, illuminazione e costi che però a questo punto ricadrebbero direttamente sui lavoratori a casa. Ma sono disposti o accetteranno, quest’ultimi, di farsene carico?

È di sicuro un tema nuovo, che si configura come una sorta di ribaltamento dei rapporti e al tempo stesso prefigura la necessità di affrontare la materia attraverso una “compartecipazione da parte dell’impresa”, che forse dovrebbe in qualche misura contribuire a concorrere alle spese del lavoro da casa, perché comunque per le imprese si tratta di un notevole risparmio in sede. E ciò dovrebbe riguardare e coinvolgere anche il settore pubblico, della pubblica amministrazione, degli enti locali, come i Comuni, Provincie e Regioni.

In alternativa, si dovrebbe provvedere varando iniziative che puntino ad allargare l’area dei coworking, che al momento copre meno del 10% dei lavoratori contro l’esperienza dei paesi del Nord Europa: il lavoro da remoto si svolge al 50% nei coworking. Soluzione quest’ultima che potrebbe favorire in particolare i liberi professionisti, i quali se non riescono a sopportare in proprio i costi dovuti agli aumenti energetici possono sempre optare per la soluzione coworking, stabile o anche solo temporanea. Questi spazi sono comunque sempre una soluzione opportuna per poter suddividere e parcellizzare tra i più le spese.

Per tutti, inevitabilmente, oggi la parola d’ordine urgente è “tagliare”, ridurre. Risparmiare sui costi vivi. Per non soccombere, ciascuno nel proprio campo e settore. Una cosa è certa, il caro bolletta è una sfida allo smart working.

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