— / AL-FURKAN / DPA PICTURE-ALLIANCE
Al Baghdadi
Nel video diffuso dall’Isis, il califfo Abu Bakr al-Baghdadi ha celebrato gli attentati a Pasqua in Sri Lanka, che hanno provocato la morte di oltre 300 persone, definendoli una vendetta per Baghuz, ultima roccaforte dell’Isis nell’Est della Siria, riconquistata a marzo e ha accolto il giuramento di fedeltà di gruppi islamisti di Burkina Faso e Mali, citando direttamente Abu Walid al-Sahrawi, alla guida del braccio locale dello Stato Islamico nel Sahara. In particolare, al-Baghdadi ha celebrato l’operato del terrorista islamico e gli attacchi contro le forze francesi e dei loro alleati nella regione sub-sahariana.
Abbiamo chiesto a Carlo Biffani, esperto di sicurezza, se dobbiamo aspettarci un colpo di coda dell’Isis e se continuerà a prendere di mira Paesi come lo Sri Lanka e quelli dell’Africa sub-sahariana
A chi era diertto quel messaggio?
Va detto che il video non sancisce in maniera incontrovertibile il fatto che il successore di al Zarkawi e comandante in capo dell’Isis – o di quel che ne resta – sia ancora vivo. Detto ciò ci sono a mio avviso alcune non trascurabili considerazioni da affrontare, ma prima di ogni altra cosa va chiarito un aspetto. Mai e poi mai gli appelli al jihad, al martirio, all’azione contro infedeli e nemici è caduto nel vuoto. E in un periodo relativamente breve dalla emanazione della fatwa, gli effettivi, gli affiliati, i simpatizzanti e, sempre che sia giusto definirli tali, i lupi solitari, hanno trasformato tale invito in azioni drammatiche.
Oggi siamo più in pericolo di ieri?
I media e più in generale l’opinione pubblica, sembrerebbero essersi convinti però del fatto che e da ieri sia lecito attendersi una recrudescenza di azioni sanguinose, orientando la propria percezione del rischio che staremmo di nuovo correndo, riguardo alla possibilità che si compiano quel tipo di attacchi particolarmente efferati e dalla pianificazione lunga e complessa così come è stato nel caso della Francia fra il 2014 ed il 2015 o come è drammaticamente accaduto negli attacchi a grappolo recentemente verificatisi in Sri Lanka.
Sarà bene riflettere quindi sul fatto che episodi terrificanti come quello di poco più di una settimana fa, non si mettono in piedi nel volgere di qualche settimana e che presuppongono processi di pianificazione e realizzazione estremamente complessi, dovendo prevedere l’impiego di un numero davvero alto di risorse (maggiore è il numero delle persone coinvolte e più alto è il coefficiente di rischio riguardante una possibile fuga di notizie come anche quello relativo alla “protezione” e realizzazione del progetto) ed una complessità riguardo agli aspetti operativo-logistici, molto elevata.
Quindi non cambiano gli obiettivi, ma cambiano le metodologie?
In questo senso e in questo momento forse ai più sfugge un aspetto. Mi riferisco a ciò che ha reso così potente il messaggio terroristico di Isis-Daesh, ovvero l’estrema duttilità applicativa della fatwa emanata a Mosul dal Califfo, ovvero la semplicità e la perentorietà di quell’ordine contenute nella frase “andate e colpiteli ovunque e con ogni mezzo”.
Aspettarsi che in risposta al proclama di neppure 24 ore fa, possano seguire attacchi come quello dei bistrot e del Bataclan della drammatica serata parigina di quattro anni fa non è certamente da escludere, ma credo sia sensato concentrarci sulla possibilità, a mio avviso in termini di probabilità, più concreta, che ci si possa aspettare un lento attuarsi, quasi uno stillicidio sotto forma di micro attacchi ripetuti, di quella tattica tristemente nota ed applicata da anni nota come “istant jihaad” ovvero di quelle azioni perpetrate da soggetti che in nessun modo sono organici del gruppo terroristico o che al limite hanno avuto esperienze in Iraq ed in Siria o in Nord Africa, ma che poi sono stati bravi a non entrare mai o sparire dai radar delle polizie e dei servizi di intelligence consegnandosi o rientrando nell’anonimato e che brandendo un coltello o guidando un’auto o un camion possono colpire ovunque, mossi solo da una freddissima determinazione e dalla volontà di farci sentire continuamente esposti a un pericolo che, come ci è sembrato per alcuni lunghi anni, percepiamo come quasi impossibile da debellare.
Significa che l’Isis non esiste più come esercito, ma dobbiamo aspettarci che agisca come guerriglia nelle nostre città?
In questi anni questo multi-sfaccettato e composito gruppo terroristico è stato capace di intervallare in modo sapiente azioni come quelle di Nizza o degli attacchi parigini, con una lunga, quasi interminabile messe di più semplici ma altrettanto violenti attacchi perpetrati da un solo terrorista. Credo sia sensato aspettarsi una ripresa di questa strategia visto che il risultato finale verrebeb comunque raggiunto ed il risultato finale che il Califfo vuole ottenere è darci la percezione che disponga ancora di un solido esercito di soldati pronti ad eseguire i suoi ordini.
Il vero valore di una siffatta minaccia non sta solo ed esclusivamente nella capacità di seminare il terrore in maniera sistemica ed endemica, ma a mio avviso è molto più invasivo proprio per la sua capacità di farci sentire continuamente esposti e credo che dovremmo ormai aver imparato, a nostre spese, come doversi guardare da chiunque, in qualsiasi momento, sia un esercizio quasi impossibile da attuare.
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