Cultura

Il disastro aereo di cui nessuno si ricorda

AGI – Ci sono tragedie che segnano per sempre i luoghi in cui sono avvenute. Accade con i fatti di cronaca – Cogne, Avetrana, Erba, Via Poma, Olgiata – e con i drammi collettivi.

Su tutti spiccano i disastri aerei, perché se è difficile dare un toponimo a un naufragio – basti pensare al Titanic e all’Andrea Doria o, molto più di recente, alla Moby Prince – spesso il nome della compagnia aerea lascia il posto a quello del luogo in cui sono stati compiuti prima la faticosa ricerca dei rottami e poi  il doloroso recupero delle vittime.

Così quando si dice ‘Ustica’, la memoria dei più va al mistero dei misteri italiani prima ancora che all’isola selvaggia diventata paradiso dei subacquei.

E quando un palermitano sente il nome di ‘Montagna Longa’ non pensa al cocuzzolo che svetta su Carini, ma al primo disastro aereo della storia di Punta Raisi, uno scalo che per molti anni si è attirato critiche di ogni tipo: per l’inefficienza dei sistemi di assistenza al volo, per la carenza dei mezzi di soccorso e soprattutto per la posizione.

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Poi ci sono tragedie, collettive e individuali, che la memoria collettiva tende a rimuovere. Una di queste ha per teatro – quantomeno per prossimità – proprio l’aeroporto di Punta Raisi (oggi ‘Falcone e Borsellino’)  e, parafrasando  Porfirio Diaz, si colloca troppo lontana da Montagna Longa e troppo vicina a Ustica per essere stata celebrata a dovere. Ma, soprattutto, è una tragedia senza primati e senza misteri. È la tragedia senza nome del 23 dicembre 1978.

Verrebbe da pensare che quell’anno aveva avuto già abbastanza lutti per rovinarne pure il Natale affibbiandogli una tragedia (basti pensare alla strage di via Fani e all’uccisione di Aldo Moro) e che per questo giornali e tv si siano astenuti dal chiamare quella del volo AZ4128 “La sciagura di Natale”.

Il primo – e l’unico – a rendere giustizia a una tragedia senza cantastorie è stato Roberto Alajmo che nel 2001 ha messo insieme il mestiere di giornalista e la passione dello scrittore in ‘Notizia del disastro’, un volume edito da Garzanti che raccoglie le storie delle 108 vittime e dei 21 superstiti. Un reportage che si legge come un romanzo e che all’epoca non ebbe la meritata fortuna (complice forse la idiosincrasia del pubblico per i disastri aerei seguita all’11 settembre) e che finalmente torna in libreria per Sellerio (231 pagine, 14 euro) non a caso nella collana ‘La Memoria’.

Non un libro sul disastro, si intenda, ma sul destino, come sottolinea Alajmo nell’introduzione a questa nuova edizione. “La nostra essenza di creature moderne non sia attrezzata per accettare il volere del fato” scrive, “Ci pare inaudito che dietro qualsiasi evento luttuoso possa esserci solo lo stesso decrepito destino che presiedeva all’esistenza degli Antichi. Illuminati dai fari del progresso, pensiamo di poter controllare ogni variabile della nostra sorte. E se non ci riusciamo è sempre per colpa di qualcun altro che ce lo impedisce. La banalità del destino ci sembra inaccettabile. Tutto ci pare troppo semplice per essere vero, inducendoci a immaginare retroscena sempre molto umani. L’individuazione delle responsabilità e l’anelito di giustizia ci aiutano a elaborare il lutto”.

Alajmo, perché fare uscire di nuovo questo libro dopo più di vent’anni dalla prima edizione a più di quaranta dal disastro

Ho cominciato a portare sotto il cartello di Sellerio i miei libri che erano diventati introvabili. A questo ci tenevo in particolare a farlo uscire perché lo considero uno dei miei libri più belli e secondo me non aveva avuto la fortuna che meritava. Periodicamente qualcuno mi chiedeva se potevo procurarglielo e adesso è disponibile e, grazie a Sellerio, lo resterà

Cosa è cambiato in questa edizione rispetto a quella del 2001?

Qualche piccola correzione di stile, ma sostanzialmente il libro è identico. Giusto qualcosa che mi hanno suggerito i parenti dopo l’uscita della prima edizione, ma nulla di più. Del resto era una storia ferma.

Possibile che in questi 21 anni nulla di nuovo sia venuto fuori? Ci sono misteri che hanno novità quasi ogni anno…

Il fatto è che questo non è un mistero. Non ci sono state nuove inchieste e nuovi sviluppi. Non sono emersi nuovi scenari e nuove responsabilità. È una storia ferma e anche se quando uscì la prima volta ebbi l’opportunità di conoscere altri parenti delle vittime, nessuno è entrato in questa nuova edizione. Non l’ho aggiornato perché è un libro storicizzato, la storia è quella e rientrarci dentro sarebbe stato persino un po’ ossessivo.

Perché si parla ancora di Montagna Longa e di Ustica, ma non di questo disastro?

Perché non c’è niente su cui speculare. Non essendoci il complotto, manca l’interesse giornalistico. Manca l’ingrediente che lo rende appetitoso per un periodico ricordo giornalistico.

Solo un caso di sfortuna collettiva, quindi…

Un caso di destino, più che di sfortuna. Il destino non ha fascino per noi moderni, anzi cerchiamo di rimuoverlo e lo neghiamo.

Il lavoro di ricostruzione delle vite di vittime e sopravvissuti è imponente, eppure si coglie qua e là un’adesione più sentimentale ad alcuni protagonisti di questa vicenda

In questi romanzi collettivi ci sono sempre dei personaggi che si prestano di più a una narrazione distesa. Una è l’hostess: avevo trovato nel fratello un giacimento di memoria. Per tutta la durata della stesura del libro ho lavorato tenendo davanti agli occhi una fotografia della ragazza, come una specie di talismano. Un altro personaggio che mi ha affascinato è quello dell’impostore: era sul volo successivo che atterrò senza problemi, ma, tornato a casa, raccontò di essere scampato al disastri diventando una star prima nel quartiere, poi nel paese da cui proveniva e infine sui giornali, fino a quando la montatura non venne scoperta. La cosa incredibile è che non si è mai capito quale ragione avesse di imbastire un’impostura simile.

‘Notizia del disastro’ pur avendo l’accuratezza e il rigore del reportage giornalistico uscì 23 anni dopo il disastro. Non proprio un ‘instant book’. Quale molla l’ha spinta a raccontare una vicenda dimenticata?

Credo di poter dire che la cosa che mi spinse era proprio il fatto che non fosse una strada giornalisticamente battuta. Era stata completamente dimenticata, come una via fuori mano nella quale avventurarsi nella segreta convinzione che avrebbe portato in un luogo doloroso ma irresistibile.

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