“Ho capito, all’improvviso, che tu sei davvero un colibrì. Ma certo. E’ stata un’illuminazione: tu sei davvero un colibrì. Ma non per le ragioni per cui ti è stato dato questo soprannome: tu sei un colibrì perché come un colibrì metti tutta la tua energia per restare fermo. Settanta battiti d’ala al secondo per rimanere dove già sei. La tendenza del cambiamento, anche quando è probabile che non porti a nulla di meglio, fa parte dell’istinto umano, e tu non la concepisci”.
A fine anno è arrivato il libreria, pubblicato da La Nave di Teseo l’ultimo libro di Sandro Veronesi, ‘Il colibrì’, diventato uno dei libri più venduti in Italia e ospite fisso della top ten delle classifiche letterarie. Un libro doloroso, dove il lutto diventa protagonista e al contempo motore della storia. Veronesi, come nel magnifico ‘Caos calmo’, fa del rapporto padre-figlia il motivo centrale del tutto. La morte diventa presenza costante, ma non necessariamente negativa. Anzi: il lutto, dopo essere stato elaborato e superato, è motivo di ripartenza e di ottimismo. E dà modo all’autore di immaginare il mondo che verrà (il finale si svolge nel 2030) in cui l’Uomo del Futuro rappresenterà, difenderà e porterà avanti con successo i valori più importanti quali solidarietà, rispetto per l’ambiente, rispetto per l’umanità.
‘Il colibrì‘ però non è un libro utopico. E’ la storia di un uomo, un medico, della sua vita segnata da una serie di lutti. Perdite importanti che supera concentrandosi sul lavoro, sulla famiglia (che pure si disgrega), sulla figlia. E proprio il rapporto con questa, ossessionata da un filo immaginario (e poi tradita da uno reale) che rappresenta, non solo metaforicamente, l’attaccamento della ragazza alla vita, è il cuore del romanzo. E quando il filo si spezza ‘Il colibrì’, il romanzo, prende il volo.
Nella prima parte, infatti, il protagonista, l’oculista Marco Carrera, deve affrontare la moglie con cui è in crisi, il fratello con cui ha litigato, l’amico che tutti considerano uno iettatore, l’amante con cui non è mai andato a letto. Poi l’evento spartiacque che fa decollare il romanzo, l’urgenza di superarlo e l’avvento dell’Uomo del Futuro che dà un significato diverso e positivo all’esistenza. Grazie a lui e alla catarsi seguita alla grande partita di poker finale, il ‘colibrì’, il protagonista questa volta, tornerà a volare, la vita di Marco Carrera tornerà ad avere senso.
Utilizzando l’espediente narrativo dei salti nel tempo, in un percorso alternato che va in ordine sparso dagli anni ’60 al 2030, passando dalla narrazione alle lettere al dialogo diretto fino allo scambio di sms, Veronesi rende dinamico il romanzo, creando suspense e aspettative e, al contempo, presentando e approfondendo i vari personaggi del racconto.
Tutti parimenti importanti e allo stesso tempo tutti di contorno nella vita di Marco Carrera che alla fine si concentra e trova il senso vero dell’esistenza prima nella figlia e poi nell’Uomo del Futuro.
Una soluzione che arriva paradossalmente da un amico psicanalista, al termine di un lungo viaggio in cui Marco Carrera-Veronesi esprime la sua opinione negativa sulla psicanalisi e sull’effetto che fa sulle persone. Nello specifico parla di tutte le donne della sua vita, da sua madre a sua sorella Irene, “per proseguire via via con amiche, fidanzate, colleghe, mogli, figlie, tutte, ma proprio tutte, sarebbero sempre state governate da disparate tipologie di terapia analitica” che avrebbero avuto conseguenze su di lui, vittima del quella che definisce “psicanalisi passiva“.
Interessante, alla fine del libro, l’elenco dei debiti che lo scrittore fa. Un po’ forse autocompiacendosi per citazioni o riferimenti dotti. Che vanno da un racconto di Beppe Fenoglio (definisce il suo capitolo “non semplicemente ispirato, ma una cover vera e propria”) a Mario Vargas Llosa, da Federico Fellini alla cantante Joni Mitchell, da Fabrizio De André al filosofo occasionalista olandese del XVII secolo Arnold Geulincx.
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