Verificare se all’ufficio ‘corpi di reato’ del tribunale di Monza ci sia, tra le armi in sequestro, anche una Beretta calibro 7.65 silenziata e, in caso di esito positivo, comparare questa pistola con i quattro proiettili che si trovano all’ufficio ‘corpi di reato’ del tribunale di Perugia. Ruotano attorno a questi due principali quesiti, affidati alla Digos, gli accertamenti preliminari avviati dalla procura di Roma che da qualche settimana ha aperto una nuova indagine sull’omicidio di Mino Pecorelli, il giornalista ucciso nella capitale il 20 marzo 1979.
È stata la sorella 84enne della vittima, Rosita Pecorelli, il 17 gennaio scorso, a invitare i magistrati di piazzale Clodio a svolgere nuovi approfondimenti investigativi con una istanza che porta la firma del legale di famiglia, l’avvocato Valter Biscotti. Nella richiesta fatta ai pm si fa riferimento al sequestro, avvenuto a Monza nel 1995, di alcune armi attribuite all’epoca a Domenico Magnetta, soggetto in passato legato ad Avanguardia Nazionale. Armi che nessuno mai avrebbe messo a confronto con i proiettili che hanno ucciso Pecorelli in via Orazio, nel quartiere Prati, e che dovrebbero ancora trovarsi nell’ufficio ‘corpi di reato’ del tribunale brianzolo.
Un ulteriore spunto investigativo potrebbe ricavarsi anche dalla dichiarazione resa nel 1992 all’allora giudice istruttore Guido Salvini da Vincenzo Vinciguerra (ex estremista di estrema destra) che sosteneva di sapere, per aver sentito nel carcere di Rebibbia nel 1981 un dialogo tra due ex esponenti di Avanguardia Nazionale, che Magnetta, fermato a Monza nel ’95 con le armi, sarebbe stato colui che avrebbe avuto in custodia la Beretta 7.65 silenziata che uccise il fondatore di OP. E che lo stesso Magnetta, se non fosse stato aiutato a uscire di galera, avrebbe rivelato chi gli aveva consegnato la pistola usata nell’agguato in via Orazio.
Il procuratore aggiunto Francesco Caporale e il pm Tiziana Cugini sono in attesa di una informativa della Digos. In caso di esito positivo delle ricerche, l’arma sarà sottoposta a una consulenza tecnico-balistica per verificarne la compatibilità con i proiettili. Un altro passo successivo dell’indagine sarà legato all’attendibilità delle dichiarazioni di Vinciguerra di 27 anni fa e riferite a un episodio, tutto da riscontrare, ancora più datato.
Processualmente il caso Pecorelli si chiuse il 30 ottobre del 2003 quando la Cassazione assolse definitivamente Giulio Andreotti dall’accusa di essere il mandante dell’agguato. In primo grado, il 24 settembre del 1999, il sette volte presidente del Consiglio venne assolto, per non aver commesso il fatto, assieme agli altri presunti mandanti Gaetano Badalamenti, Claudio Vitalone, Pippo Calò e ai due accusati di essere gli esecutori materiali del delitto, cioè Massimo Carminati e Michelangelo La Barbera.
Il 17 novembre del 2002, in appello, invece, fu confermata l’assoluzione per tutti ad eccezione di Andreotti e Badalamenti, condannati a 24 anni di reclusione. Condanna che la Suprema Corte spazzò via annullando senza rinvio la sentenza di secondo grado e ponendo la parola fine a tutta la vicenda giudiziaria.
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