Cronaca

I conti fragili dell’azienda che dovrebbe risolvere il problema rifiuti a Roma

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L’ultimo bilancio di Ama approvato risale addirittura al 2016. Sul successivo è in corso una partita politico-giudiziaria che negli ultimi mesi ha portato prima alle dimissioni del vecchio Cda dell’azienda e poi all’apertura di un fascicolo di inchiesta da parte della Procura di Roma. Un contenzioso che al momento blocca il via libera anche del bilancio 2018.

Nonostante ormai sia datato, l’ultimo documento contabile fotografa bene la struttura della partecipata, di proprietà al 100% del Campidoglio, che si occupa dei rifiuti di Roma. Ovvero dell’azienda chiamata a gestire in prima linea la crisi di raccolta e smaltimento che la città vive ormai da alcune settimane, a causa della minore possibilità di conferimento, circa 500 tonnellate in meno al giorno, in due dei 3 Tmb cittadini, quelli situati a Malagrotta.

L’Ama ha circa 7.800 dipendenti, un debito stimato oltre 1 miliardo, ed ogni anno spende oltre un terzo del valore della produzione aziendale, che in totale ammonta ad oltre 800 milioni di euro, per pagare stipendi. Stipendi che, nel 2016, equivalsero a una cifra pari a 360 milioni di euro, superiore a quella utilizzata per finanziare il servizio erogato dall’azienda. Una dinamica simile a quella di Atac, l’azienda comunale che gestisce il trasporto pubblico, dove il costo del personale occupa addirittura la metà del valore della produzione annuale.

Di fatto la municipalizzata è chiamata al difficile compito di pulire una città dal perimetro urbano vastissimo come Roma ad un costo elevato e con poco margine di rendimento, visto che i ricavi sul trattamento dei rifiuti prodotti vanno in parte anche ad altri operatori. L’Ama infatti gestisce un solo Tmb, quello di Rocca Cencia, mentre il secondo di sua proprietà, quello del Salario, è andato a fuoco a dicembre scorso ed era comunque destinato alla chiusura visto l’impatto in termini di miasmi ed emissioni che da anni vedeva in atto proteste dei cittadini dei quartieri circostanti.

L’azienda si finanzia in buona parte tramite i proventi del contratto di servizio con il Campidoglio, l’ultimo rinnovo è avvenuto il 31 maggio scorso e prevede il versamento di circa 710 milioni di euro l’anno. Il documento stima 393 milioni di euro l’anno per gestire la raccolta indifferenziata – ovvero il settore andato in crisi in questo momento – tra raccolta, spazzamento e lavaggio strade, trasporto e smaltimento.

Da un anno si è aperta una partita contabile sul bilancio 2017, con il vecchio Cda che rivendicava 18 milioni di euro per la gestione dei servizi cimiteriali e il Campidoglio che riteneva quella posta contabile non andasse conteggiata. Lo scontro ha portato, a febbraio scorso, alla mancata approvazione del documento contabile 2017 da parte della giunta, le dimissioni dell’ex assessore all’Ambiente Pinuccia Montanari e poi la rimozione del vecchio Cda aziendale guidato da Lorenzo Bagnacani.

Sulla vicenda la Procura ha aperto un fascicolo ed in attesa degli sviluppi resta bloccata per le stesse ragioni anche l’approvazione del bilancio 2018. Intanto la Repubblica riferisce di una lettera in cui i nuovi vertici aziendali, nominati nelle scorse settimane dalla sindaca Virginia Raggi, paventano il rischio di – una svalutazione prudenziale del credito di 169.268.044 euro -“. Un colpo terribile per un’azienda che rischia di chiudere i conti 2017 e 2018 in rosso.

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