
ALBERTO PEZZALI / NURPHOTO
Un momento della manifestazione Extinction Rebellion a Londra
“Extinction Rebellion”, il movimento ambientalista che ha paralizzato Londra lo scorso week end, sta già preparando ulteriori azioni di “disobbedienza civile”. Questa volta coinvolgeranno di più anche l’Italia, dove le adesioni alla piattaforma web del movimento lanciato l’anno scorso stanno aumentando dopo le azioni londinesi e ammontano ad alcune centinaia.
A “ribellarsi contro l’estinzione” verso la quale il mondo sta inesorabilmente andando e che è già quasi troppo tardi per impedire, sono migliaia di persone che stanno aderendo in tutto il mondo all’appello lanciato da un gruppo di scienziati, frustrati da decenni di allarmi caduti nel vuoto. I fondatori sono Roger Hallam, del King’s College di Londra e Gail Bradbrook, dell’università di Manchester. Con i giovani dei Fridays for Future, il movimento ha in comune la preoccupazione per i cambiamenti climatici, che però allarga anche alle istanze ecologiste e in particolare all’allarme sulla perdita della biodiversità.
La figura di riferimento di XR, così lo abbreviano i militanti, in Italia è Marco Bertaglia, ricercatore specializzato in sostenibilità, con un curriculum di studi internazionale (laurea in scienze forestali e ambientali a Torino, master a Lovanio, dottorato in Germania) che ora lavora al Centro Ue di Ispra.
Gli italiani che hanno aderito in questi primi mesi, con un picco nella settimana dopo il clamoroso blocco del traffico della capitale britannica, hanno età e provenienze sociali diverse, spiega Bertaglia all’Agi. I gruppi più consolidati sono quelli di Milano, Roma Torino. Sono anche già state organizzate le prime iniziative di sensibilizzazione, come il “die-in” al centro commerciale City Life di Milano. All’ombra dei grattacieli progettati da Zara Hadid, alcune decine di militanti si sono stesi a terra impedendo il passaggio per alcuni minuti e simulando una scena da “day after”. Ripresi dai telefonini di numerosi passanti più divertiti che spaventati, hanno poi distribuito i loro volantini di informazione sul precario stato di salute del mondo in cui viviamo.
Quali sono le prossime azioni che prevedete di fare in Italia e a livello internazionale?
“Che sia il blocco del traffico in città o altro è da decidere, ma quel che è certo è che la protesta non si può esaurire in piccole azioni che, pur avendo una loro importanza, quando finiscono tutto torna come prima. Ci deve essere un’incisività maggiore, lo abbiamo visto con le azioni di Londra. E se non posso dire che domani ne faremo una, ci sono appuntamenti che stiamo cominciando a immaginare. L’ambizione è quella di promuovere azioni forti di disobbedienza civile di massa. E ben vengano tutte le manifestazioni che servono a far sentire la propria voce, anche le petizioni, le marce, ma non hanno sortito quegli effetti indispensabili a cambiare radicalmente una situazione che sta diventando davvero catastrofica”.
Greta Thunberg guarda con interesse alle vostre azioni: in che rapporti siete con i giovani dei Fridays for Future?
“Abbiamo molti punti e idee in comune e la voglia di cambiare davvero le cose. E’ positivo che sia riuscita a interessare moltissimo i giovanissimi, anche quelli che non pensavano a queste problematiche: siamo contenti di collaborare e riflettere insieme. La differenza sta nell’accento che i Fridays for Future mettono soprattutto sulla questione del clima, mentre noi guardiamo molto anche alla perdita della biodiversità e alle crisi ecologiche in generale, puntando alla radice del problema, al nostro modo di vita, al sistema che ha impatti multipli sull’ambiente e sulla società. Il cambiamento climatico è sicuramente molto grave, una delle cose più preoccupanti, uno dei sintomi, ma il combattimento si deve spostare sulla causa”.
Le manifestazioni di Londra hanno avuto echi anche altrove?
“Dai britannici, che hanno fondato il movimento l’anno scorso, è partito un appello e a livello globale si sono formati circa 300 gruppi, più o meno grandi, in una cinquantina di paesi. A partire da questo, in circa 80 città di 33 paesi ci sono state azioni più o meno simultanee a quelle di Londra. Meno clamorose, anche se soprattutto a New York, in Australia e nei Paesi Bassi si sono fatte notare e se ne è parlato. Da noi in Italia invece il passaggio dall’adesione al gruppo alla disponibilità a compiere azioni trasformandosi in veri attivisti non è ancora compiuto, ci stiamo lavorando. Anche per il futuro si cercherà di ripetere questo modello: nei vari paesi, i gruppi scelgono di aderire a una chiamata all’azione che parte da Londra, decidendo autonomamente che tipo di azioni fare ma cercando di coordinarle dal punto di vista temporale. La scelta del tipo di azione dipenderà dalla realtà locale, dalle circostanze, dalla quantità di attivisti disponibili”.
Qual è l’obiettivo concreto delle azioni di Extinction Rebellion?
“Gli obiettivi sono tre: che si dichiari l’emergenza climatica ed ecologica per quello che è, in profondità; che si agisca immediatamente per fermare la distruzione degli ecosistemi e arrivare allo 0 netto di emissioni nel 2025; che si crei una nuova politica ambientale e si creino assemblee cittadine per garantire che la transizione sia equa e fattibile per tutti: la democrazia rappresentativa ha fallito, non soltanto sui temi ambientali del resto. Questa forma di democrazia diretta permetterebbe di uscire dai cicli elettorali, dalle politiche a breve termine e all’influenza delle lobby e degli interessi economici che ci stanno dietro”.
Il movimento simpatizza per qualche parte politica, anche in vista delle imminenti elezioni europee?
“Il cambiamento climatico e la crisi ecologica riguardano tutti. Quindi noi andiamo al di là di ogni classificazione partitica anche se alcuni ci possono vedere come più di sinistra, e per alcuni aderenti può anche essere vero; ma non è una divisione che noi facciamo in maniera programmatica. Siamo inclusivi, perché il disastro a cui andiamo incontro dal punto di vista ecologico e sociale riguarda tutti. XR non ha una visione netta un punto programmatico sulle elezioni e sui partiti, vuole essere inclusiva. Abbiamo quei tre obiettivi: le assemblee cittadine non devono rovesciare i governi ma avere un potere deliberativo vero”.
I promotori della “ribellione” sono scienziati, come lei. Come lo spiega?
“Da decenni il mondo della scienza lancia l’allarme sulle questioni ambientali. I governi non hanno l’orizzonte temporale sufficiente per fare le cose. Io sono un ricercatore e come tale non sviluppo politiche: do consigli sperando che vengano seguiti dai politici. Vivo una sorta di frustrazione sul fatto che non è facile per gli scienziati far valere le proprie indicazioni, certe idee che nel mio caso sono radicali e la politica con le idee radicali fa fatica anche quando ci sono dei fondamenti netti. Nel contesto di questa frustrazione, mi è piaciuto di Extinction Rebellion l’aspetto della non violenza portata alle sue massime espressioni sia all’esterno che all’interno del movimento: con un obiettivo che coincide con la mia ambizione di contribuire a creare un mondo un po’ migliore, anche dal punto di vista sociale”.
Si è parlato di un algoritmo che vi suggerisce le azioni e dell’uso di allucinogeni da parte dei fondatori del movimento, può spiegare?
“A volte certe informazioni vengono semplificate ottenendo un effetto sensazionalistico. L’algoritmo di Roger Hallam non ha calcolato a tavolino che dovessimo raggiungere i mille arrestati. La cosa è più sfumata: si stima che migliaia di persone dovranno essere arrestate prima che il governo decida di intervenire come richiesto. Quanto all’esperienza psichedelica citata nel blog di Gail Bradbrook, andrebbe inserita in una prospettiva antropologica: le popolazioni dell’America Latina di cui parla usano gli allucinogeni naturali all’interno di certi processi, se si estrae la sua esperienza dal contesto può suscitare perplessità”.
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