La distanza che c’è tra i tre miliardi di euro chiesti e le risorse oggi sul tavolo è “larga” ammette il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti in un’intervista a la Repubblica. Così, “dopo una serie di esecutivi che hanno tagliato sull’istruzione – prosegue – non mi posso accontentare di un governo che smette di prelevare soldi dal Miur”. E torna a insistere: “Bisogna investire e con forza” sull’istruzione e dunque sul suo dicastero.
Così, gli ricorda il quotidiano diretto da Carlo Verdelli, stanti così le cose si avvicina anche la scadenza della sua promessa iniziale, fatta ancor prima di insediarsi al ministero di viale Trastevere a Roma: “O tre miliardi a scuola e università o mi dimetto”, aveva giurato Fioramonti. E oggi, alla verifica dei fatti e dinanzi al suo governo che come altri continua a non investire in istruzione, ribatte: “So che cosa ho detto e so che sono un uomo di parola”.
“Non si governa con la paura di perdere consenso”
Per il ministro il punto è che non si può “continuare ad amministrare un Paese con la paura di perdere consenso, alla fine tutto questo si trasforma in paura del futuro”, tanto più che a suo dire “l’occasione è storica” perché “abbiamo un’occasione irripetibile: un governo progressista può e deve sincronizzare l’Italia sull’orologio delle nazioni più progredite, che da anni hanno già fatto quello che io provo a proporre”, a cominciare “da un finanziamento importante, continuo e puntuale a ricerca, università e scuola”.
Invece nella bozza della Finanziaria, con l’articolo 29, si fa esattamente l’opposto. Viene fissato un limite addirittura più stringente di quello esistente per le università e che non consentirebbe, ad esempio, di assumere i ricercatori del Cnr che la legge Madia ha già previsto. A questo proposito Fioramonti osserva che “quei limiti vanno rivisti” e sono probabilmente “stati inseriti dalle manine burocratiche” alle quali ha fatto cenno nei giorni scorsi. “Bisogna mettere soldi sulla ricerca – insiste – non nuovi vincoli”. Poi si lascia andare ad uno sfogo: “E non è certo bello scoprire su Internet l’esistenza di norme che riguardano il mio settore senza che nessuno mi abbia mai coinvolto”.
Ma al di là dei maggiori fondi richiesti e che non sono arrivati, il ministro dell’Istruzione deve fare i conti anche con una battaglia per un’industria meno inquinante che non sfonda e che fino a questo momento non risulta vincente, ma lui non si abbatte e anzi ribatte: “Le industrie plastiche se non cambiano modo di produrre tra due anni chiuderanno. L’obesità è un male e un costo per il Paese. La conoscenza, poi, guida tutte le nazioni che in queste stagioni vedono crescere il loro Pil. Mettere piccole tasse di scopo che invoglino le aziende a migliorarsi e spingano le famiglie a rivedere abitudini sbagliate sono un piccolo prezzo da pagare oggi per avere minori costi, in salute per esempio, domani, afferma il titolare di viale Trastevere. Ed è convinto di essere “nella direzione giusta”.
Anche se Fioramonti è pur tuttavia consapevole che “questo governo con questa Finanziaria deve fare tante cose”, e lui apprezza gli sforzi, come “non far aumentare l’Iva, ridurre il cuneo fiscale, intervenire sulla sanità”. “Ma quella che io propongo – torna a ribadire – è una questione centrale: ricerca, università, scuola. E il dibattito fin qui è stato insufficiente. Giorno e notte lo riproporrò e seguirò i lavori parlamentari, so che una Legge di bilancio ha un cammino lungo”.
In cima ai pensieri del ministro “non c’è il consenso” e lui sa “di che cosa ha bisogno il Paese” e lo persegue con “convinzione”. Poi, conclude, “magari, scopro che la tanto sbeffeggiata tassa sulle bollicine è gradita al 70-80 % dei cittadini, che un’intera generazione di giovani vuole un mondo più pulito”. E chiosa: “Di fronte a tutto questo, Salvini chi è?” E la minaccia delle dimissioni, se non gli assegnano le risorse che ha chiesto, intanto resta sul piatto: “So cosa ho detto e so che sono un uomo di parola”.
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