Si è spento nella notte del 4 maggio, dopo lunga malattia, Gabriele Rossi Osmida, l’archeologo veneziano scopritore della Civiltà delle Oasi, una cultura carovaniera del terzo millennio a.C. sulle rotte commerciali destinate a diventare la Via della Seta. Aveva 77 anni, e per 50 anni era stato socio e poi vice-presidente del Centro Studi Ligabue collaborando attivamente con ricerche e studi al fianco di Giancarlo Ligabue.
Rossi Osmida ci lascia un enorme patrimonio scientifico, con scoperte straordinarie per l’archeologia dell’Asia proto-storica: una delle sue missioni di scavo nell’Oasi di Adji Kui (antica Margiana, odierno Turkmenistan) ha restituito i resti di una cittadella turrita, con una fortezza e necropoli dell’Età del Bronzo appartenente alla Civiltà delle Oasi (fine IV inizi II mill. a.C.).
L’archeologo veneziano vi ha individuato un archivio amministrativo con numerosi reperti tipici della cosiddetta “contabilità concreta” (pedoni, cretule, bulle) diffusa tra i “popoli senza voce”, ossia tra le culture che non conoscevano ancora la scrittura. Rossi Osmida l’ha chiamata la Cittadella delle Statuette”: sono oltre 200 le statuette di divinità in prevalenza femminili, restituite dal suo scavo.
Era una cultura carovaniera, come ha scoperto l’archeologo veneziano guidando le missioni di scavo di Antiqua Agredo: si fondava sui traffici commerciali in un’ampia regione attorno alla Battriana (l’odierno Afghanistan), dove grandi aree sono oggi sopraffatte dal deserto. Le sue propaggini più distanti sono state individuate lontanissime, dall’Anatolia fino alla Cina e all’Oman.
Le carovane di questi mercanti seguivano le “vie delle oasi”, dove gli archeologi hanno rinvenuto elementi di continuità culturale ben riconoscibili soprattutto nei sepolcri, dove risulta evidente il ruolo dominante delle donne in quelle comunità: “Quando la ricchezza di una società è prodotta da un’attività nomade maschile – spiegava Rossi Osmida in un’intervista all’AGI di otto anni fa – sono le donne a garantire la continuità territoriale e a detenere il potere economico (e non solo) nel gruppo. E infatti solo nei sepolcri delle donne abbiamo trovato il sigillo-simbolo della ditta, quello che veniva impresso sulle merci, sul vasellame, e altro”.
I sigilli-simbolo trovati nelle tombe femminili della cittadella di Adji Kui dovevano certamente servire a marchiare e contrassegnare, e anche a contabilizzare le merci.
Nelle migliaia di tombe scavate ad Adji Kui le armi sono rarissime: “Vi abbiamo rinvenuto appena una ventina di pezzi in tutto, comprese punte di freccia che forse servivano piuttosto alla caccia che alla guerra. In quelle tombe – spiegava Rossi Osmida – prevale invece nettamente il culto della bellezza, con gioielli e oggetti da toilette, sia maschili che femminili”.
In un’altra regione del deserto del Turkmenistan, nell’oasi di Merv, in antico ricca e fiorente, l’archeologo veneziano aveva individuato, messo in luce e restaurato la più antica chiesa cristiana dell’Asia Centrale, di confessione nestoriana.
Fra le sue realizzazioni è stata importante la ristrutturazione del Museo Nazionale di Ashgabat (Turkmenistan) su mandato del Ministero alla Cultura del Turkmenistan. Ed è stato direttore responsabile della rivista Ligabue Magazine con Alberto Angela.