Con la sospensione dell’organo di direzione generale dell’Asp di Reggio Calabria decisa dal prefetto Michele Di Bari, è la quinta volta che il governo decide il commissariamento di un’azienda sanitaria calabrese per infiltrazioni mafiose. Due volte la mannaia si è abbattuta sulla disciolta Asl di Locri, altrettante sull’Asp di Reggio Calabria ed una volta su quella di Vibo Valentia.
Era il 1989 quando l’allora Asl 9 di Locri subì per la prima volta l’onta dello scioglimento degli organismi di gestione, per essere nuovamente commissariata nell’aprile 2006, pochi mesi dopo l’omicidio del vice presidente del consiglio regionale, Francesco Fortugno, medico in servizio proprio nell’ospedale della cittadina calabrese. Nel 2008 il primo commissariamento per infiltrazioni mafiose della neonata Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria, ancora monca perché l’Asl di Locri, già commissariata, non era stata interessata dall’accorpamento deciso dal Consiglio regionale nel maggio 2007, che riguardò le sole aziende sanitarie del capoluogo e di Palmi.
Il Consiglio dei ministri, in base alla relazione dell’allora ministro dell’Interno, Giuliano Amato, sciolse gli organismi di gestione l’Asp reggina per “accertate forme di condizionamento da parte della criminalità organizzata”. Secondo il decreto dell’epoca, gli interessi della ‘ndrangheta sarebbero intervenuti “pregiudicandone il regolare funzionamento dei servizi e costituendo pericolo per lo stato di sicurezza pubblica”. Le inchieste avrebbero fatto emergere “elementi sintomatici dell’infiltrazione e del condizionamento della criminalità organizzata”.
Il secondo commissariamento dell’Asp reggina è stato deciso il 7 marzo scorso dal Consiglio dei ministri ed è stato reso operativo oggi con la nomina dei commissari da parte del prefetto, Michele Di Bari. La sanità calabrese fa gola alla ‘ndrangheta, come dimostrano anche diverse inchieste giudiziarie. Nella tormentata storia dell’Asp di Reggio Calabria va messo nel conto anche il recente provvedimento di Massimo Scura, ex commissario della Sanità calabrese, che pochi mesi fa decise di autonominarsi commissario dell’azienda “a causa – spiegò – del perpetrarsi della grave situazione di cattiva gestione caratterizzata da un immobilismo amministrativo e gestionale che ha impedito la possibilità di mettere ordine alla situazione pregressa, addirittura aggravandola”.
Nel 2010 il pugno di ferro del governo colpì l’Azienda sanitaria provinciale di Vibo Valentia. Le verifiche avrebbero evidenziato condizionamenti in ogni settore e la presenza di esponenti di alcune fra le maggiori cosche attive sul territorio tra il personale dipendente. In particolare, si leggeva nel decreto, “le famiglie mafiose dei Lo Bianco, dei La Rosa e dei Gasparro-Fiarè che risultano essere in rapporti di relazione diretta e/o indiretta con personale dipendente dell’Asp”.
“Dalle attività svolte – evidenziava la relazione – è emerso che le aziende vincitrici dell’appalto di somministrazione pasti presso in presidi ospedalieri dell’Asp di Vibo Valentia, (nonché presso le mense scolastiche del comune capoluogo) hanno sempre utilizzato personale dipendente risultato poi essere direttamente collegato alla consorteria criminale operante nel territorio di san Gregorio d’lppona denominata cosca Gasparro-Fiare'”.
Anche l’Asp di Cosenza, nel 2013, sempre per sospette ingerenze della ‘ndrangheta, fu messa sotto la lente della commissione d’accesso nominata dalla prefettura, ma l’attività di ispezione non porto’ allo scioglimento ed al conseguente commissariamento. A completare il quadro disastroso della sanità calabrese c’è l’assenza di un assessore al ramo, che si protrae da un decennio, per il pesante deficit accumulato nei conti regionali di cui si occupa un commissario ad hoc.
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