Avevano denunciato alla procura e ai media di essere stati costretti a lavorare senza mascherine “per non spaventare l’utenza” e che i contagi di coronavirus erano stati nascosti. Ora questi dipendenti e collaboratori della cooperativa sociale Ampast Plast Coop, che lavorano alla Fondazione Don Gnocchi di Milano, sono stati “cautelativamente sospesi dal servizio”.
Nella lettera con cui gli viene comunicato, firmata da Ndiaye Papa Waly, indagata in qualità di legale rappresentante dai pm, si legge che, in seguito alle interviste in cui denunciavano la committente di avere leso la loro incolumità, la Fondazione ha esercitato il “diritto di non gradimento”.
Un mese fa, 18 infermieri e operatori sociosanitari avevano presentato un esposto alla Procura da cui poi era scaturita una delle prime indagini sulle case di riposo milanesi in cui è stato ipotizzato il reato di epidemia colposa oltre a violazioni in materia di sicurezza sul lavoro.
“Fermo restando il suo diritto di tutelare i suoi diritti – si legge in una di queste raccomandate lette dall’AGI – nonché il diritto dell’azienda a difendersi, si reputa che la scelta di divulgare le accuse prima ancora che si instauri, sempre che si instauri, un procedimento, lede l’immagine dell’azienda e della committenza, oltre che minare il rapporto fiduciario e mettere a rischio l’azienda nel rapporto col committente”.
I lavoratori della coop che danni lavoro all’interno dello storico istituto vengono quindi invitati a “produrre giustificazioni entro entro il termine di cinque giorni”.
Ampast si riserva l’adozione di provvedimenti, “non esclusi quelli di natura disciplinare, all’esito delle giustificazioni o in difetto di loro tempestivo inoltro”. Il legale dei lavoratori, avvocato Romolo Reboa, afferma che la lettera “è stata consegnata fisicamente ai suoi assistiti in servizio e poi sarà mandata anche a tutti gli altri”. La Fondazione ha sempre respinto le accuse definendole “false e calunniose”.
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