Francesco Fotia / AGF
Parlamento, Montecitorio
Tra chi si sfila e toglie la firma e chi la aggiunge in zona Cesarini, alla fine i promotori del referendum sul taglio dei parlamentari (i forzisti Cangini e Pagano e il dem Nannicini) incassano 71 sottoscrizioni (7 in piu’ di quelle richieste) e le depositano in Cassazione. La consultazione popolare è a un passo e potrebbe svolgersi in tarda primavera, magari assieme all’altro referendum sul maggioritario e in contemporanea con le elezioni comunali e regionali.
Importante (ma non decisivo), il soccorso leghista: sono 6 i senatori del partito di Matteo Salvini che si aggiungono ai firmatari, due dei quali nella giornata di oggi. Ma sostanziale è stato anche l’aiuto di Forza Italia, con 5 nuove firme che si sono aggiunte a quelle di sentori forzisti già presenti nell’elenco. Proprio il ritiro ieri delle firme da parte di 4 senatori azzurri (vicini a Mara Carfagna) aveva messo a serio rischio il raggiungimento dell’obiettivo.
Tanto che sin da subito i leghisti si sono attivati. Un soccorso che, per il partito di via Bellerio, ha un duplice scopo: terremotare la legislatura, facendo da sirena ai tanti parlamentari che rischiano di non essere rieletti con la netta sforbiciata di 345 poltrone, allettandoli con il voto anticipato prima dell’entrata in vigore della riforma, e contemporaneamente dare una spinta al referendum sul maggioritario, nella convinzione che la Consulta, il cui responso è atteso per il 15 gennaio, decida di ammettere la consultazione popolare per un cavillo tecnico, in quanto con il referendum sul taglio degli eletti – dall’esito positivo pressoché scontato – non si determinerebbe una vacatio legis in quanto la riforma costituzionale contiene una delega per la ridefinizione dei collegi.
In attesa che la Cassazione – ha trenta giorni di tempo – dia il via libera al referendum esprimendosi sulla legittimità della richiesta, le forze politiche si interrogano sull’effetto domino che potrebbe travolgere la stabilità di maggioranza e governo.
E se Matteo Salvini non nasconde la soddisfazione, “abbiamo dato un contributo per avvicinare la data delle elezioni”, i 5 stelle mal digeriscono l’operazione ‘soccorso’ e attaccano duramente gli ex alleati: “Pur di non tagliare il numero di poltrone Salvini e la Lega firmano all’ultimo istante il referendum”, afferma Stefano Buffagni. “Per la Lega la poltrona è l’unico sovranismo che conta”, attacca Danilo Toninelli.
Poco prima del deposito delle firme, il pentastellato Michele Giarrusso ha ritirato la propria sottoscrizione per la strumentalizzazione che ne è seguita (nell’elenco definitivo figura un solo senatore pentastellato). Anche due dem, Verducci e D’Arienzo, si sono sfilati all’ultimo minuto. L’avvio dell’iter della riforma della legge elettorale è stato infatti giudicato un buon risultato che cambia lo scenario.
Ma lo ‘scossone’ piu’ forte, forse, lo subisce Forza Italia. Accusati ieri di fare da stampella a Conte e al governo, per aver ritirato le firme, oggi al contrario i senatori azzurri finiscono nel mirino con l’accusa di aver aperto le porte alla balcanizzazione salviniana, che non punta ad altro se non ad andare al voto e fagocitare il partito di Berlusconi.
Resta silente il Pd, che pure ha 5 senatori tra i firmatari. Certo, i dem la riforma pentastellata l’hanno ‘subita’, votando sì dopo tre voti contrari, per far nascere e poi mantenere in vita il governo. E fonti del Nazareno precisano che i senatori che hanno messo la firma lo hanno fatto a titolo personale.
Solo il capogruppo al Senato, Andrea Marcucci, esce allo scoperto: “Chi spera di ottenere la fine anticipata della legislatura, utilizzando il referendum, resterà molto deluso”, sostiene. In realtà, è proprio questo il nodo centrale: la lunga finestra che si apre da qui alla tarda primavera, prima che si svolga il referendum, potrebbe appunto fare da catalizzatore dei timori di quanti temono di non essere rieletti e indurre il ‘partito del voto’ a decretare la fine della legislatura.
Ma il governo ostenta tranquillità: si lavora ai dossier più importanti, in vista della verifica sul programma, viene spiegato. Chi si chiama fuori e rivendica orgogliosamente coerenza è Fratelli d’Italia, unica forza politica che non ha sentori firmatari tra le sue fila: “Voteremo sì, siamo sempre stati a favore del taglio dei parlamentari”, ricorda Giorgia Meloni.
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