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Fake News
L’anno accademico 2018/2019 della Scuola di Giornalismo della Luiss è stato inaugurato con un dibattito dal titolo “Disinformazione, il male del nostro tempo”. Alcuni dei più importanti esponenti del mondo dell’informazione in Italia hanno partecipato, moderati dal direttore della Scuola Gianni Riotta, fornendo numerosi spunti agli allievi presenti.
Il primo a parlare è Giuseppe Abbamonte, Direttore Politica dei media della Commissione Europea, che ricorda quanto “la disinformazione erode la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nei processi democratici” e prosegue descrivendo il fenomeno Fake News come “un mostro che mina il diritto dei cittadini ad essere informati”. Per risolvere il problema la Commissione Europea ha deciso di colpire alla base con una strategia ben precisa: “Abbiamo messo insieme le piattaforme più importanti e siamo riusciti a produrre un rigido codice di condotta sulla disinformazione”.
I pilastri del codice spiegato da Abbamonte si basano sulla riduzione degli incentivi economici che stanno alla base della creazione delle fake news, con un impegno fermo a non vendere pubblicità a quei siti considerati “impostori” e all’aumento della trasparenza del political advertisment. E su questo piattaforme come Google e Facebook (che nell’ultimo trimestre ha chiuso un miliardo e mezzo di account falsi) stanno sostenendo con grande sforzo l’operazione. Come ultimo punto, lavorare sulle cosiddette norme riguardo il targeting: “Se mentre navigo mi appare la pubblicità del Klux Klux Klan, io voglio sapere perché” continua Abbamonte.
La soluzione proposta invece dal direttore di Rai News 24 Antonio Di Bella è ancora più semplice: “Bisogna imparare a maneggiare meglio i social, che è lì che spopola la disinformazione, e la buona informazione scaccia quella cattiva”. La parola poi passa proprio a Facebook, rappresentata da Laura Bononcini, Responsabile Rapporti Istituzionali e Affari Regolamentari in Italia, che spiega in che modo il social fondato da Mark Zuckerberg contribuisce alla battaglia.
”La prima fake è che Facebook guadagna con le fake. Facebook parte col combattere contro quei contenuti che violano le policy del social prima di tutto e le leggi italiane, poi vogliamo che le persone si prendano la responsabilità di quello che dicono controllando gli account e rimuoviamo le notizie false in quanto diffamatorie su segnalazioni”, spiega, “più complesso bloccare le fake non contrarie alla policy di Facebook, se un contenuto è falso ma non è illegale, è giusto che una piattaforma lo elimini? Allora abbiamo deciso di inaugurare una collaborazione con le organizzazioni di fact-checking, per cui la visibilità delle fake non illegali viene ridotta dell’80%”.
Un’altra collaborazione fortemente cercata dal popolare social è quella tra il mondo delle piattaforme e il giornalismo, affinché si educhino gli utenti a pensare prima di credere a qualsiasi cosa venga letta su Facebook. E, riguardo i fact-checking, importante anche il contributo offerto da Marco Pratellesi, condirettore di AGI, che ha illustrato il lavoro svolto dall’Agenzia Italia proprio sull’argomento, ricordando come “da soli non si vince, il fact-checking di una notizia sembra semplice ma richiede 4-5 ore di lavoro per due giornalisti” e richiamando attraverso la piattaforma studiata da AGI tutte le aziende, editoriali e non, a contribuire tramite un lavoro serio alla battaglia.
La palla poi viene passata ad un’altra piattaforma: Google, per il quale è stato invitato a parlare Diego Ciulli, Google Director Corporate Communications and Pubblic Affair Southern Europe, che esordisce nel suo intervento vantando per la propria piattaforma il merito di aver trasformato l’informazione in un bene di qualità. “C’è bisogno però di più giornalismo di qualità che poi noi rendiamo disponibile, il giornalista deve guidare il lettore”.
Google contro la disinformazione si impegna su tre fronti: premia la qualità in quanto non produttori di contenuti ma organizzatori di contenuti, “per cui abbiamo tutto l’interesse che ci siano buoni contenuti. Secondo punto, contrastiamo i cattivi attori, chi usa Google per divulgare cattiva informazione, restringendo le policy. Terzo punto, stiamo tentando di dare agli utenti anche un contesto, su Google news verrà segnalato come ogni notizia è affrontata su varie testate.
Il dibattito sulle fake news prosegue poi analizzando un altro punto di vista, quello dell’informazione aziendale, e a parlare è stato invitato Marco Bardazzi, Direttore Comunicazione Esterna di Eni: “Le bugie fanno male al business, specie quando le aziende che mentono sono quotate in borsa, quindi tenute ancor più sott’occhio”. Infatti sono i controlli, secondo Bardazzi, il vero antidoto alle fake news aziendali, per questo il fenomeno in quel campo è così raro: “Questo spinge sempre più le aziende verso la trasparenza e questo è un bene”.
Il punto secondo il rappresentante di Eni insomma è che le nuove tecnologie permettono un rapporto più diretto con gli utenti, oggi anche le grandi aziende hanno il modo di raccontarsi in prima persona, esattamente come le media company, così il lettore ha una visione più cristallina della parte dalla quale sta ricevendo quelle notizie e il brand ne guadagna di conseguenza in credibilità.
Cosa sta facendo l’Europa?
A conclusione del dibattito la Lectio Magistralis di Mariya Gabriel, Commissario Economia Digitale e Società della Commissione Europea, che approfitta, di fronte agli studenti di giornalismo della Luiss, per incoraggiarli per il lavoro che dovranno affrontare, definito “sempre più difficile, considerando le novità apportate dall’informazione online”.
Uno dei problemi principali è il sistema economico che si cela dietro la disinformazione, un modello che sta cambiando i connotati al mercato, un mercato che è passato dal basarsi sulla qualità alla quantità. La disinformazione passa spesso sui canali social condizionando così, sempre secondo la Gabriel, “le nostre scelte e le nostre idee. La disinformazione polarizza il dibattito, mina i sistemi elettorali e la sicurezza dei cittadini europei, è un serio pericolo per la libertà di opinione. In questo contesto il lavoro dei giornalisti risulta essere indispensabile”.
L’Europa ha preso coscienza del problema e la Gabriel non manca di ricordare come le autorità e le istituzioni abbiano il dovere di sensibilizzare i cittadini riguardo la disinformazione. Il traguardo finora più importante raggiunto dall’Europa in questo senso è rappresentato dall’essere riusciti a dare una definizione comune per tutti i paesi di “Fake News”, riconosciute come notizie false diffuse a scopo di lucro. Il passo successivo è stato chiedere che le policy in questo senso venissero ristrette il più possibile, senza però cascare nell’errore della censura, senza limitare diritti fondamentali come la satira o punire eventuali errori involontari.
I punti cardine annunciati dalla Gabriel per la battaglia che l’Europa ha dichiarato ufficialmente alla disinformazione sono quattro: “Migliorare la trasparenza per elaborare i contenuti, lavorare sulla pluralità per fornire un’informazione il più completa possibile, lavorare poi sulla credibilità delle informazioni, affinché l’utente possa affidare le proprie opinioni tranquillamente alle aziende editoriali; e in ultimo l’inclusione, concentrarci sull’elaborazione di soluzioni inclusive”.
“Nel mese di settembre – prosegue la Gabriel – le principali piattaforme online hanno preso un impegno con noi per combattere, con un codice, la disinformazione online (contenuti pubblicitari e politici, bot, account fake…), i cittadini devono avere maggiori strumenti per una scelta che sia sensata e informata. I risultati iniziano a vedersi ma sono insufficienti, vorrei vedere alcuni paesi impegnarsi di più, la situazione sarà monitorata mensilmente, se non basterà saremo più severi, da qui a maggio vorrei vedere elementi più concreti”.
L’urgenza in questo momento è agire anche in tempo reale, per questo l’Europa ha appoggiato e finanziato il progetto Soma, che coinvolge anche la società informatica greca Athens Technology Center (Atc), la stessa università Luiss di Roma, l’università di Aarhus in Danimarca e la società di consulenza italiana T6ECO, un progetto che permette l’utilizzo di “fact checker” che possano operare e smascherare immediatamente qualsiasi forma di disinformazione.
La Gabriel non considera ancora sufficiente questo lavoro, per questo ricorda nuovamente ai ragazzi quanto sia importante il ruolo che sono chiamati a svolgere. Un ruolo che non potrà essere sostituito dalle macchine come in questi ultimi tempi si sta prevedendo, ma le macchine potranno aiutare molto l’uomo. La tecnologia potrebbe essere utilizzata soprattutto per un percorso educativo nelle scuole, dedicato esclusivamente ad un uso più consapevole della rete, una priorità talmente importante che la stessa Gabriel annuncia un investimento di diversi milioni di euro già previsto nel quadro di bilancio 2020/2027.
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