Un’accelerazione dei tempi dei rimpatri da due anni a quattro mesi grazie al “dimezzamento” delle procedure relative all’esame delle domande di protezione internazionale, una lista di tredici Paesi considerati ‘sicuri’ e un fondo da 50 milioni di euro. Sono i punti cardinali del nuovo decreto interministeriale sulle politiche migratorie presentato oggi alla Farnesina dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio insieme al Guardasigilli Alfonso Bonafede.
È “un decreto che non urla, ma che fa i fatti”, scandisce il capo della diplomazia italiana. Il quale spiega che “la redistribuzione negli altri Paesi Ue non è la soluzione definitiva, dobbiamo fare molto di più in quanto a rimpatri, in termini di cooperazione allo sviluppo e accordi bilaterali con i Paesi d’origine”. Fino ad oggi, dice Di Maio, “troppe sono state le lungaggini burocratiche, tra richieste d’asilo e ricorsi. Ora acceleriamo le procedure. E diamo un messaggio importante: chi resta sa che può stare serenamente, chi non può restare deve andare”.
Non solo. Il provvedimento “non comporta oneri di spesa, per la semplice ragione che questo tipo di decreto inverte l’onere della prova”, ossia verranno respinte le richieste d’asilo che arrivano dai migranti provenienti dai Paesi ritenuti sicuri dall’Italia, a meno che il singolo richiedente non riesca a dimostrare che la sua situazione è tale che un ritorno in patria gli potrebbe arrecare gravi danni. Pertanto, se prima la valutazione delle singole domande veniva gestita dalla commissione asilo – ovviamente obbligata ad un’istruttoria che durava mesi – adesso sarà lo stesso richiedente a dover fornire le prove.
Sommario
Quali soni i Paesi sicuri?
Nell’elenco dei Paesi ‘sicuri’ individuati dal decreto figurano Algeria, Marocco, Tunisia, Albania, Bosnia, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Montenegro, Macedonia del nord, Senegal, Ucraina e Serbia. Secondo il ministro degli Esteri, “sui circa 7.000 arrivi di quest’anno, oltre un terzo viene da uno di questi Paesi”. E per rendere più rapidi i rimpatri, spiega invece Bonafede, il piano prevede un “dimezzamento” delle procedure relative all’esame delle domande di protezione internazionale, che spetta alle Commissioni territoriali e alle sezioni specializzate dei tribunali e che di norma “occupa di fatto un grande spazio nel lavoro dei tribunali”.
Sottoscritto da Di Maio e Bonafede insieme alla ministra all’Interno Luciana Lamorgese, secondo il decreto l’esame di tali domande per chi proviene dai 13 Paesi sicuri dovrebbe essere più semplice e quindi più rapido, anche se “naturalmente rimane la valutazione caso per caso”, come spiegato il Guardasigilli.
Di Maio: “Azioni concrete non slogan”
Il punto è come, in sostanza, inibire le partenze e allo stesso facilitare i rimpatri: “Si tratta di agire sulla cooperazione allo sviluppo”, insiste ancora Di Maio. Questo vuol dire puntare sugli accordi bilaterali con i 13 Paesi ‘sicuri’, lanciarne di nuovi, rafforzare o portare a ratifica quelli esistenti. Per far questo è stato individuato lo strumento di “un fondo rimpatri di 50 milioni di euro”, che serve proprio a finanziare e dare sostanza alle intese bilaterali. Tra gli esempi citati da Di Maio, quelli del Marocco e Tunisia, con i cui governi “vogliamo accordi e relazioni molto più forti”.
Alle critiche in arrivo dalla Lega, Di Maio risponde successivamente via Facebook: “Lavoriamo con serietà per il nostro Paese, al contrario di chi lo considerava un palcoscenico per la sua campagna elettorale permanente”, attacca il ministro degli Esteri. Parla di “azioni concrete” e “soluzioni reali” al posto degli “slogan”, il titolare della Farnesina, per andare incontro “alle esigenze delle persone, nel rispetto dei diritti umani e della sicurezza nazionale”. Il prossimo passo le missioni di Di Maio proprio in Marocco e in Tunisia.
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