Cronaca

“Conto i letti vuoti, sono 78 in un mese”. La testimonianza da una rsa di Crema

“Conto i letti vuoti e sono 78. Settantotto persone morte dal 5 marzo, data di entrata dell’ultimo ospite, a oggi”. La donna che tiene questa mesta contabilità è un’operatrice sociosanitaria della Fondazione Benefattori Cremaschi (Fbc) di Crema, “una dei cinque dipendenti, più un medico, che si prendono cura di 200 ospiti. Ora purtroppo – esita – sono diventati 122”. Capire quanti in questa casa di riposo che ha radici antiche, fino al 1500, siano deceduti per coronavirus non è possibile.

“Ufficialmente – spiega –  ci sono una decina di pazienti positivi al Covid, di cui ancora vivi sono tre”. Ma basti dire che “a gennaio, febbraio erano morte 5 persone” e “nei primi mesi dello scorso anno una quindicina” per capire quanto il coronavirus abbia inciso in questa drastica riduzione della popolazione di uomini e donne, dai 50 anni in su, che vive qui. “Non sempre la dichiarazione di decesso  è stata fatta subito dopo la morte. Abbiamo avuto anche 5 persone mancate in una notte e non sapevamo nemmeno come portarle in camera mortuaria. Non avevamo abbastanza carrelli dedicati al trasporto delle salme, alcuni li abbiamo portati con le barelle che usiamo per fargli il bagno. Non ci stavano tutti nella camera mortuaria e li abbiamo portati nella cappella. Un giorno ho contato 12 casse e 3 morti in barella”.

Quasi tutte le persone poi spirate, dice, “hanno avuto i sintomi del coronavirus, febbre alta e saturazione molto bassa, ma non mi risulta che nessuno di loro sia stato curato coi farmaci che vengono utilizzati per questo tipo di pazienti. Gli sono stati forniti antipiretici, ossigeno e la morfina nelle fasi terminali”. A tutti, assicura,  è stata garantita la dignità dell’ultimo passo. “Abbiamo pena dei nostri morti perché li sentiamo nostri. Non nascondo di piangere per alcuni di loro, li considero come dei parenti.  Dopo l’ultimo respiro, ognuno è stato cambiato e rinfrescato e gli è stato messo in mano un rosario. Un segno di omaggio per persone con cui abbiamo trascorso tantissimi anni”.

I tamponi a chi è morto “sono iniziati  dopo il 6 marzo, al momento solo a una piccola parte”. Al personale invece non sono ancora stati fatti. “Fino al 6-7 marzo quando è stato vietato l’accesso ai familiari, avevano solo le mascherine antipolvere e i cappellini che usiamo per servire i pasti. Nessun altro presidio. Qualche giorno dopo, ci sono state date le mascherine, anche senza marchio CE, e sovracamici, da disinfettare. Poi, finalmente, mascherine e sovracamici da cambiare alla fine di ogni turno e manicotti e sovrascarpe, da usare solo se in contatto coi pazienti positivi. All’inizio abbiamo avuto grandi problemi di organizzazione perché tutti quelli che comandano, dal direttore ai medici ai responsabili del personale erano in malattia. In marzo, per diversi giorni, la più alta in grado è stata la caposala-”.

L’aspetto “più penoso” per questa donna che ha una grande esperienza nel suo lavoro “è mandare le condoglianze a quei parenti che, negli anni, sono diventati amici. Alcuni di noi col proprio cellulare hanno videochiamato i parenti e assistere a queste telefonate per noi è stato molto emozionante”. Ci mostra un messaggio in cui comunica la morte di un signora a un parente: “Sai che aveva  i suoi preferiti: c’eravamo. Riposa certamente in pace mi viene da immaginarla mentre gioca a carte con le sue amiche e vuole vincere a tutti i costi”. Dopo che sono morti, ha voluto scriversi dei brevi appunti su un foglio degli ospiti a cui era più affezionata.  Ecco alcuni dei suoi  ‘ritratti’: “Osservava molto e parlava poco. Sceglieva con chi parlare. Profondo”; “Il piacere di parlare con una persona intelligente e accogliente. Il suo sorridere”; “Una vita insieme, amava o odiava, niente vie di mezzo. Un mazzolino di violette da campo da portare alla Madonna in Chiesa”; “Da poco arrivata, così presto andata, osservava molto e portava rispetto”. 

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