Polizia di Stato
Masseria Vito Gondola, fermo posta pizzini Matteo Messina Denaro
Il fuoco, la ‘santina’ e uno spillo a portata di mano. Passano le stagioni ma il rito di affiliazione a Cosa Nostra continua ad alimentare la sacralità degli aspiranti criminali. Un “rigido” rituale (molto simile a quello delle logge massoniche ndr) destinato a tutti i picciotti che gravitano attorno alle famiglie di mafia ma che nel corso degli anni si è rivelato superfluo per una nuova categoria: gli “uomini riservati”.
Tuttora il rito di iniziazione “segna l’ingresso nell’organizzazione e sul piano giuridico sostanzia la condotta di cui all’art. 416-bis c.p.: “il far parte” dell’associazione, appunto”. A spiegarlo, “analiticamente” per primo fu il pentito Tommaso Buscetta che all’inizio della sua collaborazione raccontò il suo ingresso nella mafia siciliana descrivendone i dettagli.”Possa la mia carne bruciare come questo santino se non manterrò fede al giuramento”. È la cosiddetta ‘punciuta’, una cerimonia che si svolge alla presenza di un padrino che ha il dovere di presentare l’aspirante “uomo d’onore” agli altri membri della famiglia.
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Con uno spillo (un tempo i palermitani usavano una spina di arancio; altri usavano spille dorate) viene punto il polpastrello dell’indice della mano con cui l’uomo è abituato a sparare, il sangue viene fatto gocciolare su un’immagine sacra (santina ndr) che poi viene bruciata. Una pratica analoga a quella massonica, come spiegò Giovanni Grimaudo, maestro venerabile di una Loggia deviata scoperta a Trapani nel 1986: l’Iside 2. “Il rito mafioso è quello proprio nostro, il Rito Scozzese Antico e [Rettificato]. Cioè si punge il dito con il sangue, segnato di sangue, viene posto nella scheda del fratello che giura. Il rito mafioso è lo stesso”.
Nonostante ciò il rituale di affiliazione a Cosa Nostra “si è progressivamente modificato e attenuato nel tempo, in dipendenza della mutazione del fenomeno mafioso, dovuta a fattori interni ed esterni riferibili in primo luogo al diffondersi del “pentitismo” – si legge in una recente ordinanza contro alcuni complici del latitante Messina Denaro – che ha imposto la necessità di difesa e di copertura tra appartenenti allo stesso sodalizio, per il timore di nuove pericolose collaborazioni”.
Per questo Cosa Nostra avrebbe cercato di darsi una nuova forma. A partire dai cosiddetti “uomini d’onore riservati”, cioè affiliati senza il tradizionale rito. Si tratta di elementi “centrali” per gli affari che spesso mettono attorno allo stesso tavolo gli interessi mafiosi, economici e politici. Ne parlarono alcuni pentiti, tra cui Vincenzo Sinacori, uomo d’onore di Mazara del Vallo (Trapani).
“La peculiarità sta nel fatto che il nuovo affiliato – raccontò – non deve essere presentato ad altri “uomini d’onore” (se non ad alcuni ovviamente), si era diffusa all’interno di “cosa nostra” allorquando cominciò a manifestarsi il fenomeno dei collaboratori di giustizia, all’incirca negli anni 1994-1995”.
Anche questo rituale ha dei riferimenti nell’ordinamento massonico. “Le due cerimonie sono molto affini” disse ai magistrati il pentito Angelo Siino, il cosiddetto “ministro dei lavori pubblici” della mafia legato sia alla massoneria che a Cosa Nostra. “Ci sono delle adesioni cosiddette all’orecchio, all’orecchio, è proprio un senso onomatopeico, per dire bisbigliate, nel senso che uno è all’orecchio del Gran Maestro della massoneria, cioè non c’è un’adesione ufficiale, è come il mafioso riservato”.
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