Alla fine del lockdown la macchina turistica italiana dovrà ricominciare a ripartire adattandosi a nuovi paradigmi. L’attesa per il ritorno alla normalità sarà ancora lunga e le parole di Ursula von der Leyen, che ha invitato le persone ad attendere prima di pensare alle vacanze estive, non rendono questa futura ripresa facile da immaginare e programmare.
Il Centro Studi del Touring Club Italiano ha analizzato i dati e i flussi di turismo domestico e internazionale per ipotizzare una fotografia dell’estate 2020. I primi fattori propulsivi deriveranno dal turismo domestico, il nostro turismo tornerà quello degli albori, quando nel secondo Dopoguerra si rivelò come fenomeno prevalentemente italiano.
Dal 1958, primo anno della rilevazione sistematica dei flussi da parte dell’Istat a metà degli anni 80, infatti, circa il 70% delle presenze che si registravano in Italia riguardavano il turismo dei nostri connazionali. È soltanto negli ultimi 35 anni che si è sviluppato notevolmente il mercato incoming che oggi costituisce, più della metà del nostro turismo (50,5% delle presenze totali).
Come succede per tanti altri aspetti della nostra economia, l’Italia non si presenta omogenea in tutto il territorio nazionale: i flussi stranieri sono concentrati in alcune aree particolari, spesso per ragioni molto diverse. È proprio in questi territori che si registreranno dunque le difficoltà maggiori perché verrà meno una componente fondamentale della domanda turistica. La Provincia Autonoma di Bolzano sarà quella che risentirà più della situazione, visto che per quasi il 70% dipende dall’estero, e in particolare dal mondo di lingua tedesca, di cui è un naturale sbocco per quanto riguarda l’offerta montana invernale ed estiva.
Con il 68% di clientela estera, al secondo posto si trova il Veneto, la cui capacità di attrazione sui mercati stranieri è legata all’offerta balneare, lacuale e a quella delle città d’arte, Venezia in primis. Lazio e Lombardia presentano un tasso di internazionalità simile (62% e 60% rispettivamente): nel primo caso l’attrattore di Roma è fondamentale, nel secondo c’è Milano – come polo molto importante di turismo urbano e business – ma anche tutto il sistema che ruota attorno alle tante aree industriali lombarde che intrattengono fitti rapporti con l’estero.
Per quanto riguarda il Friuli-Venezia Giulia (57%), le ragioni sono, come per Bolzano, legate prevalentemente alla sua collocazione geografica mentre la Toscana (54%) deve la sua attrattività a Firenze e alle principali città d’arte, nonché al suo territorio rurale, da decenni entrato nell’immaginario collettivo straniero. Sardegna e Sicilia, infine, (rispettivamente 52% e 51%) sono le uniche Regioni del Sud a presentare quote di flussi stranieri di qualche rilievo, ma comunque sostanzialmente in linea con la media nazionale.
Le località che subiranno le ripercussioni più pesanti
Secondo un modello elaborato dal Touring Club, le più colpite probabilmente saranno le località lacuali e marine, soprattutto venete. In alcuni casi – in particolare per Limone, Scena e Malcesine – la mancanza di stranieri potrebbe addirittura quasi azzerare i flussi complessivi. Il Sud Italia è rappresentato in maniera molto contenuta da una sola località siciliana (Taormina) e da una campana (Sorrento). L’unica località montana è altoatesina mentre per i contesti urbani Venezia è l’unica rappresentata. Totalmente assente da questa classifica il Centro Italia.
“Nonostante le incertezze sui tempi e sulle modalità della ripartenza – afferma Franco Iseppi, Presidente del Touring Club Italiano – il quadro delle aree geografiche e delle tipologie di località che potrebbero entrare più in sofferenza appare già oggi abbastanza chiaro: avere queste informazioni può sicuramente aiutare la politica regionale e locale ad affrontare il futuro in modo più consapevole, provando a mettere in atto alcune contromisure che possano rendere attrattive, o quantomeno più visibili in termini di comunicazione, queste località già note al pubblico internazionale anche a quello italiano.”
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