Alle tre del pomeriggio, la cittadina di Codogno, comune del Lodigiano noto per la sua prosperità economica e la mela cotogna, ha chiuso per coronavirus. Il sindaco, Francesco Passerini, ha ordinato di chiudere bar, ristoranti, scuole e uffici pubblici per “tutelare la pubblica incolumità” nel timore che si diffonda il male che ha colpito M.Y.M, 38 anni, prossimo padre, sportivo, ora in un letto del piccolo ospedale civico.
Fino a data da definire, i 16 mila residenti abiteranno una Codogno a insegne spente, dove anche l’ipermercato, oltre alle botteghe, e perfino le filiali delle banche recano la dicitura “chiuso a scopo precauzionale”. Nemmeno potranno sottoporsi a visite o esami perché l’ospedale le ha sospese a tempo indeterminato e l’invito è a recarsi a Lodi per urgenze. “Dovevo operarmi lunedì all’addome, nulla di grave, ma è da tanto che aspetto”, si lamenta una signora.
Problemi pratici, che anche i commercianti accettano per lo più di buon grado (“Se è per la salute, va bene questo e altro”). Nulla di fronte alla preoccupazione di essere venuti a contatto col virus. “È incredibile: ora la Cina, che guardavamo in tv, siamo noi”, sintetizza il titolare di un panificio su via Roma.
Gli ultimi giorni di M.Y.M.
Si ricostruiscono gli ultimi giorni di M.Y.M: la gara podistica a Sant’Angelo Lodigiano, il corso alla Croce Rossa, la partita di calcetto, la partecipazione al carnevale coi carri allegorici. Quasi nessuno gira con la mascherina ma solo perché, spiegano i farmacisti, da tempo sono andate esaurite, ben prima che la paura atterrasse nelle sue fattezze più concrete proprio qui, nella campagna lombarda. Le persone chiedono gel disinfettanti e, soprattutto, consigli. Senza isterie.
I genitori vanno a prendere i figli a scuola prima che suoni la campanella, con insegnanti e presidi che sospendono le attività del pomeriggio. I più preoccupati sono i vicini di casa di M.Y.M. e della moglie ricoverata al Sacco, all’ottavo mese di gravidanza. Stanno in cerchio di fronte all’abitazione della coppia “felice, pronta ad accogliere il bambino”. Si confrontano, tra fatalismo e paura.
“Ho chiamato i carabinieri e mi hanno detto di lasciare il lavoro – racconta Giuseppe – tornare a casa e aspettare che arrivino a farmi un tampone. Eseguo, mi sembra il minimo”. Oggi vado a fare il test – dice Francesco, 28 anni, che indossa una mascherina – ho visto M. una settimana fa in ascensore, era tranquillo, mi pareva stesse bene. Ora sono preoccupato. La mia fidanzata ha la febbre e anche mio padre. L’assessore Gallera vuole chiudere la città? Io che devo fare: il virus e’ sopra casa mia, mi devo trasferire dalla mia compagna?”.
Uno dei vicini di casa va a protestare in comune, dopo avere sentito in tv che Gallera ha consigliato di starsene tra le proprie mura. “Per prudenza, meglio che non esca”, gli conferma un dipendente a cui risponde stizzito: “La spesa me la va a fare lei, allora?”. Nel tardo pomeriggio, dopo lo choc iniziale, la cittadina sembra recuperare colore. La gente e’ in strada, chi in bici, chi a piedi. Si ferma davanti ai negozi chiusi a chiacchierare, con la speranza di chi aspetta che tutto passi, veloce com’e’ venuto.