Cronaca

Chi era Frank Calì, il ponte di Cosa Nostra tra Usa e Sicilia

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Ambasciatore, mediatore, ponte fra Cosa nostra siciliana e la mafia americana. Già undici anni fa, l’inchiesta “Old Bridge”, scattata tra Italia e Stati Uniti nel febbraio 2008, aveva indicato in Francesco ‘Frank’ Calì, ucciso davanti alla sua casa di Staten Island, l’esponente di spicco della famiglia Gambino di New York.

Dietro il paravento di una fiorente e redditizia attività di commercializzazione di frutta, nascondeva, spiegavano i magistrati, la sua vera occupazione: quella di gestore di una serie di traffici illeciti. Era proprio l’italoamericano, sostenevano la Dda di Palermo e l’Fbi, l’uomo-chiave di nuovi affari e vantaggiose relazioni. È da lui che andavano i mafiosi partiti da Palermo, come Nicola Mandalà e Gianni Nicchi.

I loro contatti americani erano Pietro Inzerillo e il cognato, appunto ‘Franky Boy’. “Frank Calì è amico nostro”, raccontava il 21 ottobre 2005 l’emergente Nicchi al suo capo Nino Rotolo. E nella conversazione intercettata nel capanno in lamiera di Rotolo, il giovane boss usava un’espressione che secondo chi indagava era molto significativa: “È il tutto di la’”. Un modo per sottolineare la ‘vicinanza’ sia di Calì sia di Inzerillo a Cosa nostra. La polizia italiana ritrovò pure alcune foto di Nicchi, Mandalà, Calì e delle fidanzate dei due mafiosi palermitani.

I rapporti con i Gambino e con La Cosa nostra americana, ritengono dunque gli inquirenti, non erano mai cessati, sin dai tempi di “Iron Tower” e dell’operazione “Romano-Adamita”, che avevano evidenziato i collegamenti tra i Gambino, gli Inzerillo, gli Spatola e i Mannino, perdenti in Sicilia, ma non negli Usa, dove si dedicavano al traffico internazionale di stupefacenti. E proprio per questo i boss Lo Piccolo garantirono appoggio e consentirono a Sarino Inzerillo di tornare a Palermo con una sorta di ‘mandato esplorativo’, per riprendere i vecchi contatti. Contatti che i ‘torrettesi’, dal loro punto di vista, non avevano mai perso: Calì si era offeso per essere stato escluso da alcuni lavori edili realizzati negli Usa da un nipote di Salvatore Badalamenti, molto vicino al boss di Torretta, paese in provincia di Palermo, Vincenzo Brusca. E il capomafia rassicurò Badalamenti: “Ci penso io, per ‘u Franki, lo raccomando io, per altri lavori edili”.

Insomma da tempo chi indaga aveva registrato la ripresa dei rapporti in grande stile. E’ tra la fine del 2003 e il 2004 che i giovani rampanti mafiosi siciliani, in rappresentanza di più famiglie e mandamenti, andarono negli States, per organizzare un nuovo e imponente traffico di stupefacenti, per riprendere le tradizioni delle joint-venture di successo giaà sperimentate negli anni ’80 e ’90.

Sui rapporti con gli Stati Uniti e ‘La Cosa nostra’ americana, le posizioni erano diverse, perché ad esempio Salvatore Lo Piccolo, il capocosca arrestato il 5 novembre 2007, puntava a recuperare un rapporto costruttivo anche con i cosiddetti ‘scappati’, cioè i mafiosi che erano stati costretti all’esilio, all’inizio degli anni ’80, per evitare di essere massacrati durante le guerre di mafia. Altri capimafia (su tutti Nino Rotolo) osteggiavano qualsiasi ipotesi di riconciliazione, temendo di poter incappare nelle vendette di coloro che erano stati decimati (‘Ci scippano la testa’, osservava il boss di Pagliarelli durante conversazioni intercettate).

Da qui l’assenza di Gianni Nicchi al secondo viaggio compiuto da Mandalà negli Usa, nel 2004, e la sostituzione da parte di Rotolo dei reggenti di alcuni mandamenti di Palermo, a cominciare da quello, di importanza strategica, di Passo di Rigano-Boccadifalco, con uomini di sua fiducia. 

Secondo quanto emerso, i contatti negli Usa erano stati riallacciati con alcuni esponenti di primo piano di Cosa nostra, tra cui gli appartenenti alle famiglie Inzerillo-Gambino, ritenute dall’Fbi inserite nel traffico internazionale di stupefacenti. I contrasti sull’opportunità di coinvolgere nella nuova joint-venture, in particolare, i parenti di Totuccio Inzerillo, boss di Uditore assassinato l’11 maggio 1981, sono durati a lungo ed erano emersi nell’ambito dell’operazione ‘Gotha’ del 20 giugno 2006, di cui il nuovo blitz della polizia è una prosecuzione naturale.

Nel corso di quell’indagine era stato accertato che Bernardo Provenzano aveva preferito mantenersi su una posizione ambigua, che gli consentiva di non schierarsi nè dall’una nè dall’altra parte. Una volta arrestati lo stesso Binu, Rotolo, gli altri due componenti della triade (Nino Cinà e Franco Bonura) e alcuni componenti della famiglia Inzerillo (Tommaso, Francesco, nato nel 1955 e il cugino omonimo nato nel 1956), le indagini non si erano fermate e si erano avvalse, oltre che della collaborazione tra polizia e Fbi (il cosiddetto “Progetto Pantheon”), di nuove intercettazioni, pedinamenti e soprattutto delle lettere ritrovate a Salvatore e Sandro Lo Piccolo al momento della cattura. I nuovi affari erano in corso. E forse non si sono mai interrotti.

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