Carola Rackete agi’ “in adempimento del dovere di soccorso in mare” e “correttamente” il gip di Agrigento non convalidò il suo arresto ritenendo configurabile questa “causa di giustificazione” che “comporta uno specifico divieto di arresto in flagranza e fermo”. Così la Cassazione spiega perché, lo scorso gennaio, decise di respingere il ricorso presentato dalla procura di Agrigento contro l’ordinanza con cui il 2 luglio dello scorso anno, non venne convalidato l’arresto della capitana della Sea Watch, eseguito dalla Guardia di finanza 3 giorni prima a Lampedusa. Le convenzioni internazionali in tema di soccorso in mare, e, “prima ancora l’obbligo consuetudinario di soccorso in mare, norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta e pertanto direttamente applicabile nell’ordinamento interno”, in base all’articolo 10 della Costituzione, “tutte disposizioni ben conosciute – osserva la Corte – da coloro che operano il salvataggio in mare, ma anche da coloro che, per servizio, operano in mare svolgendo attivià di polizia marittima” sono il “parametro normativo” che ha guidato il gip di Agrigento “nella valutazione dell’operato dei militari per escludere la ragionevolezza dell’arresto” di Rackete, “in una situazione nella quale la causa di giustificazione era piu’ che verosimilmente esistente”.
“L’obbligo di prestare soccorso dettato dalla convenzione internazionale Sar di Amburgo non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro”, e tale non può essere qualificata, “una nave in mare che, oltre ad essere in balia degli eventi meteorologici avversi, non consente il rispetto dei diritti fondamentali delle persone”, afferma la Cassazione.
Né, si legge ancora nella sentenza, “può considerarsi compiuto il dovere di soccorso con il salvataggio della nave e con la loro permanenza su di essa, perché tali persone hanno diritto a presentare domanda di protezione internazionale secondo la Convenzione di Ginevra del 1951, operazione che non puo’ certo essere effettuata sulla nave”. Anche il Consiglio d’Europa, ricorda la Corte, ha stabilito che “la nozione di luogo sicuro non può essere limitata alla sola protezione fisica delle persone ma comprende necessariamente il rispetto dei loro diritti fondamentali”.
Le navi della Guardia di finanza “sono certamente navi militari, ma non possono essere automaticamente ritenute anche navi da guerra”, scrive ancora la terza sezione penale della Cassazione. “Per poter essere qualificata come ‘nave da guerra’ l’unità della Guardia di finanza deve altresì essere comandata da un ufficiale di Marina al servizio dello Stato e iscritto nell’apposito ruolo degli ufficiali o in documento equipollente, il che nel caso in esame – osserva la Corte – non e’ dimostrato”. Infatti, prosegue la sentenza, “non è sufficiente che al comando vi sia un militare, nella fattispecie un maresciallo, dal momento che il maresciallo non è ufficiale. Né peraltro il ricorso documenta se tale maresciallo avesse la qualifica di cui sopra. Dunque – concludono gli ‘alti’ giudici – non è stata dimostrata la sussistenza di tutti i requisiti necessari ai fini della qualificazione quale nave da guerra della motovedetta della Guardia di finanza nei cui confronti sarebbe stata compiuta la condotta di resistenza”.
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