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Antonio Scurati
Come previsto e prevedibile, Mussolini ha vinto, anzi stravinto. Antonio Scurati ha sbancato il 73esimo Premio Strega. Oltre cento voti di differenza con la seconda classificata – Benedetta Cibrario con Il rumore del mondo – ripagano lo scrittore napoletano – ma milanese d’adozione – delle vittorie mancate nel 2009 e 2014, e sono un bel regalo per i cinquant’anni appena compiuti. Scurati ha stravinto meritatamente, e dall’alto dei suoi 228 voti può quasi spernacchiare gli altri candidati e la malasorte, persino la cabala visto che ha sfanculato il detto: non c’è due senza tre.
Scuro in volto – nomen, omen – manco avesse perso pure stavolta, per la terza volta, tradiva la tensione cumulata in un decennio di mancate vittorie, più che in una serata di trionfo. E quando il commentatore al ninfeo s’è lasciato andare all’infelice battuta: andiamo a contare per quanti voti stavolta ha perso, il vaffa mentale s’è sentito aleggiare, con le corna di leoniana memoria di rinforzo, prima d’essere affogato nel bottiglione dello Strega.
Scurati, quindi. Unica sorpresa della serata l’ottima Cibrario, che ha scavalcato Marco Missiroli sul podio. Le altre candidate alla finale, Claudia Durastanti e Nadia Terranova, a chiudere la cinquina e fare presenza, come detto. Non ha certo giovato, a Missiroli, la presenza di una seconda candidata Einaudi che ha scisso i voti dell’editore, alla faccia d’ogni buon senso e belle lettere.
Scurati, dunque. Bel volumone il suo M, pure questo s’è detto. Se dovesse portare a dama quanto promesso, alla fine della trilogia Il figlio del secolo avrebbe in corpo oltre duemila pagine. Un’enciclopedia (ri)fondativa dell’antifascismo, più che un romanzone. C’è pure un mezzo indice dei nomi, come ogni saggio che si rispetti, e non disperiamo che sia completo alla fine dell’opera.
Un romanzo-documentario, romanzo-saggio (rosaggio?) che riapre la stagione del grande romanzo storico all’italiana, come nelle corde dell’autore, forte di prove quali Il rumore sordo della battaglia e Una storia romantica, come pure del piazzamento della Cibrario, anch’essa con una bella storia risorgimentale.
Romanzo storico dove d’inventato non c’è nulla e, anzi, proprio l’essere romanzo permette di traversare le mille pieghe della storia in ogni sfaccettatura. In questo la penna di Scurati è impagabile. La sua capacità di raccogliere, con la testimonianza, l’humus del tempo, notevole. Basti il passaggio finale, quello di un Mussolini solo e vincente sullo scranno di presidente del Consiglio, quando all’indomani dell’omicidio Matteotti mira quel che rimane del parlamentarismo che sta per essere spazzato via dal suo regime, a chiusura del primo volume.
Antonio Scurati
“Guardali, ascoltali, non capiscono cosa stia accadendo. Né gli uni né gli altri. Non capiscono che cosa gli sto facendo. Continueranno a combattere, da una parte e dall’altra, senza sapere che abitano già una casa di morti. I nostri, i fascisti in camicia nera con i teschi ricamati in bianco, la abitano da sempre, gli altri, cresciuti per secoli nel rispetto dell’essenza umana, non la conoscono. Si aggirano a tentoni, tremanti, nella notte della pianura immensa, senza nemmeno potersi accodare all’istinto della lotta. Non capiscono, non capiscono…. Gattini ciechi avviluppati in un sacco. Mi sono giustificato dinanzi alla storia ma devo ammetterlo: è struggente la cecità della vita riguardo a se stessa. Alla fine si torna all’inizio. Nessuno voleva addossarsi la croce del potere. La prendo io”.
Il figlio del secolo è questo: un animale che fiuta il suo tempo ed è capace di dominarlo. Gran prosa innestata in un’abilità narrativa e ricostruttiva di primissimo livello. Un’opera se vogliamo monca a paragone dell’altre che pure ha stracciato ma che s’è beccata lo Strega, anomalia italiana come la presenza di due candidati dello stesso editore in finale. Resta, col plauso, un rimpianto e un augurio. Se anziché partire da Piazza San Sepolcro, nel ‘19, e finire a Montecitorio nel ‘24 – e poi via via, fino alla fine dell’uomo e del regime – Scurati avesse scritto della fanciullezza e giovinezza, insomma di quanto più noto e leggendario che conosciuto sul fondatore del fascismo, il suo enciclopedico duce e i suoi lettori ne avrebbero guadagnato.
L’augurio, invece, è di evitare le secche dell’antifascismo. Che il suo figlio del secolo diventi bandiera di un rinnovato antifascismo, di maniera e d’opposto conformismo, a celare il nullismo presente. Primo perché di scrittori pseudo progressisti e politicamente adagiati sull’onda di piena del buonismo di genere – quella che cavalcano Grete e capitane Carole per intendersi – non se ne può più. Poi perché il tempo, questo tempo, e la democrazia sono già altro, e niente può deviare l’onda della storia quando si fa piena. Tantomeno un ottimo romanzo, o rosaggio che dir si voglia.
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