FABRIZIO VILLA / AFP
A 41 anni dal 1978, quando la legge che depenalizzò l’aborto vide la luce, i problemi legati all’interruzione volontaria di gravidanza sono sempre gli stessi e sempre nuovi. A preoccupare è prima di tutto un dato: l’aborto clandestino esiste ancora. Lo ammette lo stesso Ministero della Salute, che, nella sua ultima relazione al Parlamento (gennaio 2019) approssimava una stima (ma non dati certi, trattandosi di una pratica illegale): tra le 10 e le 13 mila donne ogni anno ancora vi ricorrono. Ne hanno parlato oggi in Commissione Sanità di Regione Lombardia Sara Martelli, psicopedagogista e coordinatrice della campagna ‘Aborto al sicuro’, dei Radicali, insieme alle ginecologhe e attiviste Daniela Fantini e Anna Uglietti, nel corso dell’audizione sulla legge regionale di iniziativa popolare per l’applicazione della 194.
Basta un dato a far riflettere: l’aborto riguarda “una donna su cinque, almeno una volta nella vita e non è quindi un fenomeno marginale, ma qualcosa di enorme”, ha osservato Martelli, calcolando che: “Mantenendo fede a questi numeri nella sola Lombardia dovrebbero essere in proporzione 1.800 donne all’anno” quelle che ‘risolvono’ senza passare dall’ospedale.
Con modalità però sempre meno chirurgiche e sempre più tecnologiche: “Si tratta di donne che acquistano su internet pillole abortive e si affidano poi alle mammane che con fanghi o pozioni assicurano loro di interrompere la gravidanza, con pericoli per la loro salute”. La Lombardia dell’eccellenza sanitaria è invece tra le ultime regioni per numero di aborti e per l’uso della RU486.
Sommario
L’obiezione di struttura
Due i primati. Il primo: il 66% dei ginecologi della Regione non pratica la Ivg, come rivela un’indagine del Pd regionale voluta dalla consigliera Paola Bocci. In ben 2 ospedali lombardi, Iseo e Chiavenna sono la totalità; in tre, Desio, Treviglio e Gavardo, sono oltre il 90%, in 10 sono oltre l’80%; solo in 11 (di cui tre a Milano, San Carlo, Sacco e Buzzi) sono sotto il 50%; in 7 strutture su 62 (il 10 %) le Ivg sono pari a zero (Vaprio d’Adda, Melzo, Iseo, Sondalo, Chiavenna, Gardone val Trompia, Mortara).
Il risultato è un fenomeno che esiste solo a queste latitudini, la cosiddetta “obiezione di struttura” come ha denunciato il consigliere di +Europa, Michele Usuelli: quello che avviene infatti in alcuni ospedali, spesso moderni, ricchi e convenzionati, è che non ci sia nemmeno un medico che possa assistere una donna che vuole abortire. Questo, nonostante la legge 194, all’articolo 9, affermi che “gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare gli interventi di interruzione della gravidanza richiesti”.
Quanto è diffusa la pillola abortiva?
Il secondo: la Ru486 nei primi sei mesi del 2019 è stata utilizzata in Lombardia – stando alla ricerca dei dem – solo nel 13% delle strutture; la Regione è al quattordicesimo posto fra le omologhe italiane, ultima fra quelle del nord e – per una volta – dopo Calabria (17,6%) e Sicilia (17,4%), a fronte di un utilizzo del 43% in Liguria e del 42,5% in Piemonte.
Nei primi sei mesi del 2019 in Lombardia non era usata in nessun modo in 26 strutture su 62. Alla base c’è il fatto che in Lombardia l’attesa fra certificazione della gravidanza e intervento è maggiore a quella delle altre regioni (è al sedicesimo posto In Italia), il che significa che passa troppo tempo fra la certificazione e l’effettiva esecuzione dell’Ivg e questo fa scadere i termini (49 giorni) entro i quali e’ possibile assumere il farmaco; dove la Ru486 è più comune l’attesa è inferiore ai 14 giorni.
Il portare l’uso della Ru486 a regime consentirebbe un notevole risparmio: “Si stima infatti che l’aborto farmacologico costi un quinto di uno chirurgico che vuol dire mille euro risparmiati per ogni intervento”, affermano le attiviste. “Ad alcune donne viene dunque detto che il feto ha patologie, ma quelle stesse donne vengono poi lasciate da sole a cercarsi una struttura dove abortire, se decidono di farlo”, ha denunciato Usuelli.
Da combattere poi la disinformazione, che riguarda straniere e under 26: le donne che praticano l’aborto in Regione sono per il 37% non italiane e molte sono giovanissime. Mancata informazione che però non riguarda solo le pazienti ma anche i medici e gli operatori sanitari “rimasti talvolta agli anni ’90”: nei consultori “milanesi non si applicano le spirali e i contraccettivi sottocutanei progestenici come avviene ormai dappertutto in Asia, Africa e America Latina, dove a farlo sono talvolta le ostetriche”, ha chiosato la ginecologa Uglietti.
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