“Non è una vera guerra perché non si deve scegliere chi deve vivere o morire, bisogna aiutarli tutti”. Il segreto per vincere o quantomeno non soccombere al Covid-19 è racchiuso nel concetto di “rete” perché così “il colpo è assorbito da tutto il sistema”. Come è avvenuto in Emilia Romagna dove “i pazienti più gravi” dalle terapie intensive sovraccariche nei territori più colpiti, Piacenza su tutti, sono stati accolti nei reparti di altri ospedali della regione (Cesena, Bologna, Ferrara) in cui “l’ondata è stata meno intensa”: a parlare all’AGI è Vanni Agnoletti, 50 anni forlivese, direttore dell’unità operativa di Anestesia e rianimazione del trauma center dell’ospedale Bufalini di Cesena e coordinatore, come referente della Romagna, dell’unità di crisi per i posti letto di terapia intensiva per l’emergenza coronavirus.
Nel suo studio campeggia un poster di Charles Darwin, padre della teoria sull’evoluzione della specie per selezione naturale. Ma attenzione agli inganni. “Darwin insegna che è proprio nella tutela del più debole che il gruppo cresce e si seleziona”, ha precisato il medico.
La sua squadra è composta da 50 colleghi e 60 infermieri. Agnoletti abituato, nel trauma center, all’arrivo improvviso di persone vittime di gravi incidenti stradali (la Romagna è terra di motori e regno dei ciclisti) si è trovato a gestire (a livello regionale) ‘pullman’ di pazienti colpiti seriamente dal coronavirus. In piena emergenza, quando la curva epidemica era in continua salita, il team che dirige, insieme ad altre due unità operative (Emilia nord ed Emilia centro) è stato mente e braccio della macchina dei soccorsi per i pazienti a rischio. E ha elaborato ora dopo ora, senza sosta, un piano di azione per garantire posti e cure nei vari reparti di terapia intensiva del territorio.
“Al momento l’incendio è sotto controllo. Si sta quasi spegnendo ma siamo tutti molto attenti al fatto che possa riaccendersi qualche focolaio. Occorre mantenere tutte le precauzioni in atto”, è il monito del medico. Ingabbiato il nemico, ora arriva un’altra sfida. Parallela alla riapertura delle attività economiche c’è una Fase 2 anche per gli ospedali. Prima inglobati dal Covid-19, ora molti reparti sono pronti a ripartire con l’attività ordinaria (visite ambulatoriali prima soppresse, interventi ortopedici o di chirurgia minore).
Ma il come è una delle incognite su cui si stanno confrontando i medici in prima linea (al di là delle decisioni che verranno assunte a livello istituzionale). “In questa fase iniziale – è il pensiero del direttore del trauma center dell’ospedale Bufalini di Cesena – sarebbe opportuno considerare tutti i pazienti che saranno sottoposti ad interventi chirurgici programmati, come potenziali pazienti Covid, quindi mantenere alti i livelli di protezione ed eseguire i tamponi. Questo per non correre il rischio di riaccendere focolai”.
Secondo il medico, gli ospedali dovranno riappropriarsi della loro identità perché il Covid “è l’anomalia”, pur nella consapevolezza che il virus non è stato ancora debellato completamente ed è quindi pronto a riaffiorare. Si ragiona dunque su come concretizzare un sistema ibrido. “Il coronavirus, al momento si sta spegnendo – sottolinea Agnoletti – e non occupa più tutte le corsie dell’autostrada. Dobbiamo ripartire con l’attività ordinaria pur sapendo che non avremo a disposizione tutte e quattro le corsie. Occorre ridare velocità al sistema ma in sicurezza”, questa la scommessa sanitaria per le prossime settimane. Infine, il pensiero di Agnoletti va ai colleghi impegnati nella lotta al coronavirus.
“Vorrei ringraziare tutti, dai medici, agli infermieri, agli addetti alle pulizie che ci hanno permesso di lavorare così bene. Ci sono stati chirurghi che si sono reinventati internisti mettendosi al triage e medici che, dopo un turno massacrante, sono partiti da Cesena per andare a prendere dei pazienti a Piacenza”, sono alcuni esempi citati dal medico forlivese.
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