AGI – Era considerato il più grande penalista d’Italia, già allievo prediletto di Francesco Carnelutti che lo aveva voluto al suo fianco dopo averlo apprezzato come studente all’università. Giuseppe De Luca si schermiva di fronte ai complimenti, con quella sua timidezza che per chi non lo conosceva poteva sconfinare nell’alterigia. Niente era più lontano dal suo modo di essere nella vita di tutti i giorni e in quella professionale, quando il suo ingresso con la toga di avvocato in un’aula di giustizia faceva notizia e le sue arringhe destavano ammirazione anche nelle controparti. Era un principe del foro suo malgrado. Niente teatrale retorica, ma lucidissima analisi del caso e delle regole procedurali, perché De Luca sapeva vedere oltre i codici e nelle pieghe delle norme, occupandosi dei grandi processi del ‘900, con intelligenza e con sistematiche vittorie che la premiavano. Se n’è andato a 98 anni per le conseguenze di un’infezione polmonare a Roma, dove si era trasferito dal paese di Picciano in cui era nato nel 1926, allora in provincia di Teramo e dall’anno dopo nella provincia di Pescara voluta da Gabriele d’Annunzio e dal barone dell’Aterno Giacomo Acerbo.
Sommario
Figlio di maestri elementari, era cugino di Emilio Alessandrini
A Picciano il padre Pasquale e la madre Ada Alessandrini, zia del magistrato Emilio che sarà ucciso da Prima Linea nel 1979, erano maestri nella scuola elementare. Avevano capito subito che i due figli, Peppino e Diego, avevano la predisposizione per gli studi e li avevano così avviati all’università: il primogenito aveva scelto giurisprudenza, il secondo medicina (specialista in malattie tropicali, sarà medico vaticano con Paolo VI), e ambedue avranno risultati straordinari in ambito accademico e professionale. La prima grande vetrina, nel 1948, il processo al Maresciallo Rodolfo Graziani, nel collegio di difesa coordinato da Carnelutti. Poi casi eclatanti quali quello del delitto di Wilma Montesi nel 1953, con lui ad assistere il musicista e compositore di colonne sonore da film Piero Piccioni, figlio del ministro Attilio costretto alle dimissioni dallo scandalo. Assolto. Sarà sempre Giuseppe De Luca a difendere Sophia Loren arrestata dalla Guardia di finanza nel 1982 con l’accusa di evasione fiscale assieme al marito Caro Ponti e rinchiusa nel carcere di Caserta.
Docente all’Università La Sapienza di procedura penale
L’avvocato abruzzese trapiantato a Roma è la punta di lancia del diritto processuale penale, materia che insegna all’Università La Sapienza di Roma dov’era stato in cattedra il suo maestro Carnelutti. L’altro scandalo, mondiale, col sequestro per oscenità e il rogo del film “Ultimo tango a Parigi” nel 1976, lo aveva visto al fianco del regista Bernardo Bertolucci che era stato in un primo tempo condannato con la perdita dei diritti civili per 5 anni. De Luca è lontano come forma mentis dall’avvocatura retorica ciceroniana così come si tiene lontano dai mass media che danno ampio risalto ai processi, come quello del 1968 all’Aquila, nel suo Abruzzo, per il disastro della diga del Vajont. Restio ad apparire, quasi timoroso delle interviste, tiene lo stesso profilo basso con cui tiene le sue arringhe: un distillato di logica e di conoscenza approfondita del diritto, alieno dalla manifestazione esteriore della spettacolarizzazione forense.
Lontano per scelta dai riflettori e dai mass media
Non è popolare e non è conosciuto al grande pubblico, ed è esattamente quello che vuole. Il suo nome esce prepotentemente fuori quando Silvio Berlusconi lo chiama a difenderlo nelle prime raffiche di cause che lo investono. È lui a tirare i fili processuali e i risultati si vedono. Berlusconi lo vorrebbe ministro della Giustizia nel suo primo governo, ma De Luca ringrazia per la considerazione e dice di no. Non è il suo mondo, fatto di studi, di ricerca, di incroci di lame con i pubblici ministeri nel duello in nome del diritto. Lui usa sempre e solo il fioretto, anche di fronte alle sciabolate dell’accusa: para e restituisce, o anticipa le mosse. Nel suo studio in via della Conciliazione dove chiama Paola Severino ed Ennio Amodio sfilano tanto i potenti quanto i paesani e gli amici con i quali non ha mai reciso alcun contatto, sempre prodigo di consigli o nel prendersi a cuore cause di livelli assai meno alti di quelle in cui è protagonista.
Le radici abruzzesi e le estati nella villetta di Silvi Marina
A Picciano torna fino a che sono in vita i genitori, ma ogni estate, finché la salute glielo consente, trascorre le sue vacanze nel villino di famiglia di Silvi Marina, a poche decine di metri dalla spiaggia. Gli piace passeggiare, parlare dell’attualità e della storia, in ogni argomento dimostra padronanza e competenza, ma senza la pedanteria del professore universitario. Ha sempre creduto nella meritocrazia, per una società migliore, ma negli ultimi tempi quella speranza si era appannata, anche se continuava a credere nel diritto e quando riconosceva nei giovani avvocati il talento li lodava e li incoraggiava. Nella sua Picciano lo conoscevano come “don Peppino”, un residuo di spagnolismo che faceva chiamare il padre “don Pasquale” e la madre “donna Ada”. Da tempo aveva scelto di riposare nel cimitero del paese accanto a loro.
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