(Afp)
Il tartufo nero finirà in nemmeno cento anni, il suo secolo si dissolverà in una nuvola di faville: teste Davide cum Sybilla. I due profeti della sventura prossima ventura del tartufo si chiamano, per l’esattezza, Paul Thomas dell’Università di Stirling e Ulf Buentgen, dell’Università di Cambridge.
Sono loro che vedono l’apocalisse profilarsi nel futuro di un povero miceto che noialtri, da profani quali siamo, associamo alla tavola raffinata e un po’ al di sopra delle tasche della classe media. Insomma, alla ragionevole opulenza fatta non per tutti, ma nemmeno per pochissimi. E questo spiega perché il tartufo, soprattutto il nero, sia diffuso e tale resti alla faccia della crisi. Con grande soddisfazione di un intero settore dell’industria alimentare.
Secondo Coldiretti l’unico effetto positivo dell’ondata di maltempo che questo autunno ha colpito l’Italia è l’aumento delle nascite ed un calo del 30% dei prezzi del tartufo bianco con valori di appena 250 euro all’etto per pezzature medie attorno ai 20 grammi, al borsino del tartufo di Alba on line, punto di riferimento a livello nazionale. Il clima anomalo segnato da diffuse precipitazioni ha creato le condizioni per vere e proprie offerte di fine stagione per il frutto più pregiato della stagione.
Sommario
La fine del Dodo
Peccato che la pacchia stia per finire. O almeno così dicono i due docenti universitari, che hanno affidato la loro teoria a un saggio pubblicato su Science of the Total Envirovment. Il testo ha un titolo molto esplicito: “I rischi per il tartufo nero europeo alla luce dei prevedibili cambiamenti climatici”. La conclusione è senza appelli, o quasi. Ma il quasi in questo caso non rappresenta un barlume di speranza, quanto semmai il contrario: un’aggravante.
“A rispettare lo scenario che si profila con maggiori probabilità nel campo del clima europeo, la produzione europea di tartufo declinerà tra il 2071 ed il 2100”, sono le conclusioni. Sì, ma di quanto? “Tra il 78 ed il 100 percento”. Insomma, estinzione per il tartufo come fu per il povero Dodo delle Isole Mauritius dopo che fu avvistato per la prima volta da un europeo: sparì dalla faccia della Terra e non lo si trovò più.
E se non dovesse bastare, si sappia che “il declino può benissimo aver luogo in una data precedente a quelle già indicate, qualora si considerino altri elementi di carattere climatico quali l’arrivo di ondate di calore, gli incendi boschivi, i periodi di siccità e le patologie” di cui può essere affetto il tubero. Non c’è scampo, almeno a sentire certe voci.
Un pezzo d’Europa in ginocchio
Il pericolo non è solo per la soddisfazione dei sensi degli esseri umani, quanto anche per il futuro di una parte di essi: quelli che sono impegnati, ignari della catastrofe incombente, a far crescere tra amorevoli cure le prossime generazioni di tartufi. Al riparo dal troppo sole, ma anche dalla troppa pioggia; dalle mani ruvide e grifagne dei cercatori dilettanti, ma anche dalle bocche fameliche e quantitative della fauna del bosco. Solo chi coltiva tartufi sa cosa tu può combinare una famiglia di cinghiali o anche un singolo capriolo.
I numeri che circolano, anche da questo punto di vista, sono eloquenti: introiti per milioni e milioni e milioni di euro. Addirittura 6 miliardi da qui al 2040, se si continua con il trend attuale. Facile immaginare cosa potrebbe succedere in Italia, Francia o Spagna con il subitaneo esaurimento di questa vena d’oro: depressione economica, disoccupazione, problemi sociali e persino ambientali, perché prima di arrendersi all’evidente scomparsa del tartufo nero lo si cercherebbe ovunque, su nuovi terreni o anche più a fondo nei terreni vecchi. Un disastro.
La ricetta del Dottor Thomas
Sia come sia, la ricerca non lascia spazio all’ottimismo, se non altro per il rigore con cui è stata condotta. Studiando, cioè, la noiosissima materia dell’espansione del tartufo nel corso degli ultimi 36 anni e confrontando i dati con quelli dei contemporanei andamenti climatici. “La nostra è una chiamata a tutti riguardo l’impatto che i cambiamenti del clima possono portare in un futuro che non è certo molto lontano”, sottolinea Thomas, “le nostre conclusioni indicano quanto siano necessarie nuove iniziative di carattere conservativo per garantire un minimo di protezione a questa specie importante quanto rappresentativa”. Tra le soluzioni prospettate “l’espansione delle coltivazioni dei tartufi per allargarle a nuovi territori che abbiano un clima più favorevole”. Quali? Qui sta il nocciolo della faccenda.
Il tartufo al tempo della Brexit
Il fatto è che proprio dalle parti della Gran Bretagna si stia manifestando un nuovo interesse per i tartufi. Non è solo questione di palato. Siamo in tempi di Brexit, di equilibri commerciali che cambiano, di mercati unici che scricchiolano. Non è solo il clima a mutare con velocità inusitata.
Tartufo delle Langhe
Qualcuno, oltremanica, si è ricordato che ai tempi in cui le Isole Britanniche entravano ufficialmente nel consesso dei regni d’Europa a Londra e dintorni faceva un gran caldo. Molto più di ora. Tanto che da quelle parti veniva coltivata la vite. Fu solo un’improvvida microglaciazione intervenuta tra il XIV ed il XVI secolo a stroncare la produzione del vino, sennò oggi staremmo a discutere se è meglio il Chianti o l’Essex.
Allora l’idea non può che essere questa: visto che stiamo tornando alle temperature dell’epoca di Guglielmo il Conquistatore, perché non rimetterci a coltivare le stesse cose? E se per la vite magari è troppo presto, e bisognerà aspettare almeno il fallimento dei prossimo Accordo di Parigi sul clima, perché non iniziare dal tartufo? Qualche tempo fa lo stesso Financial Times ha dedicato all’argomento un’intera pagina. Spiegando che c’è chi si è già messo all’opera dal 2011, e che le cose vanno così bene che le prime querciole fecondate con le spore del tartufo bianco hanno dato i loro regali con due anni d’anticipo sul previsto. E questo accade nella fredda Scozia, mica al sud. Come dire: magari scomparirà quello nero dal Continente, ma il bianco è pronto a rinascere là dove non te lo aspetteresti mai. Con soddisfazione di Theresa May e Boris Johnson, magari. Teste Davide cum Sybilla.
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