Tanto vituperata quanto indispensabile. Come in un’assurda relazione di odio-amore. Non è trascorso ancora un secolo di vita ma poco ci manca: la televisione è nata il 26 gennaio 1926, in un grande magazzino di Londra. Qui l’ingegnere scozzese John Logie Baird mostra le prime immagini utilizzando due dischi di Nipkow, che nel 1884 aveva brevettato il dispositivo in Germania: uno per la ripresa e l’altro per la riproduzione.
La prima scena televisiva trasmessa nel suo laboratorio è il viso di una persona. Ogni immagine è costituita da 30 righe, e 5 sono le immagini ogni secondo. Testimoni, diversi scienziati della Royal Institution e giornalisti – immancabili – invitati per l’occasione. Solo due anni più tardi è ancora Baird ad effettuare un esperimento di televisione a colori. Il 14 luglio del 1930 venne realizzata la prima rappresentazione teatrale in tv, la commedia di Pirandello “L’uomo dal fiore in bocca”.
A metà del 1932 la BBC diede il via a regolari trasmissioni basate sul sistema meccanico con scansione a 30 linee. Baird dimostrò il 12 settembre 1933 un telecine a 120 righe, 25 quadri al secondo e il 12 marzo dell’anno successivo un sistema a 180 righe con ricevitore basato su tubo a raggi catodici (CRT). Nel 1934 il telecine era in grado di fornire una definizione di 240 righe, 25 quadri al secondo.
Sommario
Il tempo della televisione non è affatto passato
Tempo che fu, potrebbe dire qualcuno. Eppure la televisione resta il medium più seguito e apprezzato: la sua grande forza sta nel mettere insieme le persone, “collettivizzare la visione, aggregare”. Si potrebbe dire che la tv, nel corso del suo progredire e innovarsi nei contenuti e nella tecnologia, continua a tenere insieme la società, non la ‘individualizza’, non la rende un dato web. Non “isola”. Ed è anche giusto celebrare questa benedetta televisione, che è gioia e dolori di chi all’immagine ci tiene e all’immagine si affida per lanciare, trasmettere, infondere messaggi positivi o catastrofici. Ed ecco che mercoledì 21 novembre ricorre la giornata Giornata Mondiale della Televisione, introdotta il 21 novembre 1996 dall’Onu.
All’epoca, quando Internet era ancora un privilegio, si svolse a New York il primo World Television Forum in cui si riunirono i principali rappresentanti del medium televisivo per discutere gli sviluppi della tv nell’informazione, nella cultura e nell’intrattenimento globale. Per l’occasione le Nazioni Unite elaborarono un documento che ribadiva l’importanza fondamentale del mezzo televisivo per la democrazia, la libertà di informazione, lo sviluppo sociale e culturale, la pace nel mondo, così via.
Ad onor del vero va anche detto che non tutti i Paesi membri delle Nazioni Unite approvarono questa proclamazione: ci furono 11 astensioni in sede di votazione. Tra le obiezioni sollevate, quella che esistevano già tre giornate delle Nazioni Unite che comprendevano argomenti simili, come la Giornata mondiale della libertà di stampa (3 maggio), la Giornata Mondiale delle Telecomunicazioni (17 maggio) e la Giornata Mondiale dell’Informazione (24 ottobre) e quindi aggiungere un altro giorno non aveva molto senso. Ma oggi la Giornata Mondiale della Televisione (hashtag #WorldTVDay) è un progetto fondato da una serie di associazioni, per lo più europee, come EGTA, Association of Commercial Television in Europe (ACT) e l’European Broadcasting Europe (EBU), e supportata da altre associazioni e broadcaster.
Un medium che resta un punto di riferimento per milioni di utenti
Nel tempo, la Giornata mondiale dedicata alla televisione ha dovuto fare i conti con l’influenza esercitata dall’importanza, sempre più incalzante, del web. Eppure, la tv in Italia, ma anche altrove, resta comunque il medium di riferimento per tantissimi milioni di utenti. Sebbene il web la insidi, e quasi quasi le imponga i suoi meccanismi rendendosi quasi punto di riferimento anche per i programmi televisivi, oltre che per l’informazione. I
social e le piattaforme di streaming online provano a far diretta concorrenza alla televisione. Ma ciò non toglie che il 21 novembre di ogni sia occasione di riflessione non solo sul medium in sè ma anche per i produttori e gli operatori del settore, per guardare al futuro. E infatti Mario Morcellini, commissario Agcom e grande esperto di televisione, sottolinea all’AGI che una Giornata mondiale della televisione “ci sollecita anzitutto a pensare a quello che questo medium ci ha regalato, e magari in subordine anche a quello che può averci tolto, ma anche a ciò che ci può ulteriormente dare”.
“Perché ci vorrebbe una giornata italiana della televisione”
Morcellini si spinge oltre e dice che partendo dal “regalato” “è fondamentale, in tempi di euforia per il digitale, ricordare il ruolo decisivo della televisione nel caso italiano. Ecco perché – spiega – a mio avviso la giornata mondiale dovrebbe essere accompagnata ad una Giornata italiana della televisione. Questo per una serie di motivi facilmente richiamabili: la tv ha fatto compagnia agli italiani, li ha cambiati, divertiti e diversificati, più di quanto sia avvenuto in altri paesi. La forza che la tv ha avuto in Italia va studiata, infatti, rispetto ai livelli di cultura che nei vari decenni si sono susseguiti”.
Morcellini prova a ricostruire in breve l’evoluzione e il ruolo della televisione in Italia, ricorrendo a tre parole chiave. In primo luogo, “non è stata una vicenda di teledipendenza. Questa formula fa disonore agli studi perchè in realtà tutti i “media nuovi” all’inizio presentano forme di soggezione, ma alla lunga gli uomini si emancipano e cominciano a saper fare i conti con il nuovo medium. Quindi la parola teleindipendenza è sicuramente più pertinente di teledipendenza. Inutile negarlo, qui gli studiosi hanno bucato”. In secondo luogo, la tv, soprattutto italiana, “ha favorito un’acculturazione del Paese non nel senso tradizionale.
A parte le belle idee che Tullio De Mauro ci ha insegnato sulla capacità di costruire una comunità che parla la stessa lingua, gli italofoni, la televisione ha dato vita a una comunità che nei decenni si è rivelata sempre più forte nei consumi culturali. È l’unico medium che così chiaramente non ha pubblicizzato solo sè stesso, ma ha favorito un avvio di diversificazione dell’audience, anche quella meno colta e periferica”, e per il commissario Agcom “davvero la parola televisione si accompagna a democratizzazione. Non a caso un grande studioso francese, Dominique Wolton, ha detto che è il medium più democratico delle società democratiche. Una bella frase che ci dovrebbe insegnare a fare diversamente i conti con la rete digitale”.
Il codice genetico della comunicazione televisiva
Terzo elemento: dov’è la sua importanza? è “nel codice genetico della sua comunicazione”. La tv “deve essere generalista, servizio universale; quello che noi chiamiamo mainstream, parlare a tutte le fasce d’età e classi sociali, diversamente dagli altri comportamenti e piattaforme comunicative”. Ne consegue che “noi dobbiamo difendere il ruolo delle televisioni”.
Per poterlo fare meglio – aggiunge ancora il commissario Agcom – “servirebbe che la televisione correggesse e integrasse due o tre aspetti che mi limito a dire in modo un pò pedagogico, come può fare solo uno che l’ha studiata appassionatamente: la televisione non deve copiare i social network sites, anzi più si differenzia dalla linguistica del digitale e più recupera identità e futuro; quando invece lo fa significa che ha dichiarato la propria “disfatta”; deve continuare ad essere generalista perché è l’unico medium che può favorire la coesione”.
“La rete non riesce a farlo altrettanto, nonostante le promesse dei suoi promotori e “inventori”; e, infine, una cosa in più la deve fare urgentemente: includere i giovani. Se la televisione non è fruita dai giovani, cessa di essere il medium rappresentativo della società. Invece, per poter esercitare la mediazione, bisogna che recuperi capacità comunicativa sulle generazioni sempre nuove, finalmente includendole di più nella propria cosmologia narrativa e di contenuti”.
A proposito di Agcom, nella Relazione annuale al Parlamento è detto che dal lato della domanda, si è assistito a un’evoluzione dei modelli di consumo dei contenuti audiovisivi sempre meno vincolati al palinsesto e caratterizzati da un maggior grado di personalizzazione, nonché un’accresciuta disponibilità a pagare a fronte del progressivo ampliamento dell’offerta dei canali nel tempo fruibili, soprattutto a livello di singolo contenuto, a condizioni economiche sempre più accessibili.
Tali evoluzioni non hanno tuttavia alterato la rilevanza del mezzo all’interno del sistema dell’informazione, che mantiene il proprio primato, sia in termini di numerosità di telespettatori che vi accedono in generale e per finalità informative, sia sotto il profilo delle risorse economiche. E sotto il profilo della domanda, ecco la tv confermare la propria valenza comunicativa, “collocandosi al primo posto in termini di accesso (con una reach superiore a quella ottenuta da Internet e dai quotidiani)”.
Resta il mezzo al quale gli italiani sono più esposti
Inoltre, essa rappresenta il mezzo al quale gli italiani sono esposti per un tempo maggiore (registrando un consumo medio giornaliero di 245 minuti) e in modo regolare durante l’arco della giornata, con la presenza di picchi in corrispondenza di alcune fasce orarie, presentando una curva di esposizione al mezzo superiore a quelle di Internet e della radio durante quasi tutte le fasce orarie del giorno medio. E oltre a essere il mezzo più diffuso in Italia, con il 68,8% di soggetti che dichiarano di informarsi quotidianamente attraverso la stessa, la televisione rappresenta “la porta privilegiata di accesso all’informazione”.
Infatti la frequenza di accesso al mezzo per finalità informative supera il 90% se si considera una cadenza che tiene conto di un arco temporale più ampio (da “meno di una volta al mese” a “tutti i giorni”. Infine, i dati sul consumo di informazione mostrano come quasi la metà della popolazione italiana (48,2%) ritenga i canali televisivi la fonte più rilevante da cui reperire notizie, collocandoli al primo posto fra i media in termini di importanza a scopo informativo.
Gina Nieri, direttore Affari istituzionali e consigliere di amministrazione Mediaset, c’era all’Onu quel giorno del 1996. Era con Fedele Confalonieri, presidente Mediaset. Per l’Italia – insieme ai broadcaster mondiali – c’era anche la Rai, con l’allora presidente Letizia Moratti. “Celebriamo – dice Nieri – un mezzo come la tv, pubblica o privata che sia, nelle sue grandi difese: assunzione di responsabilità di un’informazione trasparente e attendibile, l’autorevolezza del mezzo. Inoltre, la produzione di contenuti locali identitari con grandi attenzioni per la difesa dei diritti umani, la libertà d’informazione, l’inclusione, il rifiuto di discriminazioni di età, etnia, genere, posizione politica”.
A suo giudizio – dice all’AGI – la tv “incarna la difesa dell’interesse generale”. E cita l’esempio dell’Italia, dove 18 milioni di famiglie su 24 milioni seguono la tv digitale terrestre, ed essa costituisce l’unica fonte di informazione ed intrattenimento. “Occorre continuare ad assicurare qualità”, dice Nieri. La quale difende la tv italiana: “è accreditata, è credibile tra i broadcaster internazionali”. Siamo considerati come dotati di ottime strutture in termini di capacità produttiva e cura del telespettatore”. E c’è “motivo valido per festeggiare un girono tutto dedicato a festeggiare la televisione, capace di assiciurare un’informazioine plurale e credibile”.
Può la tv commerciale fare servizio pubblico?
Nieri è tv ma ad impronta Mediaset, quindi privata: la domanda è se può la tv commerciale essere anche servizio pubblico. “Perchè no? Lo è quando fa informazione, e nel caso di Mediaset è anche gratuita”, risponde. E sottolinea anche che i “programmi del pomeriggio, nostri o di Rai, sono una modalità di relazioni, un modo di e per dar voce, un modo di inclusione in un mondo in cui di inclusione c’è poco perchè domina la solitudine”, alimentata dal web. E dunque la tv “rappresenta una comunità che vive le stesse emozioni, le stesse cose, gli stessi momenti”.
Sì, ma Internet? “lì la relazione è tra piattaforma e pubblico. Internet mette sotto pressione l’andamento economico di un Paese. Non fa solo concorrenza sleale alla tv ma anche ad altri settori di mercato. Tante categorie produttive sono sotto pressione, c’è chi fa impresa senza controllo”. Ad ogni modo, “giusto celebrare la televisione”.
Di tv può parlare a ragione anche Maurizio Costanzo, un “animale della tv”, uno che ‘annusa’ in anticipo le tendenze, e la sua conoscenza e padronanza del mezzo è impressionante. Basti pensare alle oltre 4400 puntate, ad oggi, del suo ‘Maurizio Costanzo Show’. Dire che è da ‘docente’ non basta. E oggi rileva che occorre impegnarsi di più perché la tv “guardi ai giovani, deve cercare di attirare a sè un pubblico che diversamente va verso altri canali. Capisco che non è facile ma bisogna provarci sempre, sapendo che la televisione è un media importante”. Oggi i giovani “stanno altrove, giocano con la Playstation…”.
E lui la tv la fa mirando agli studenti, invitandoli in teatro al suo programma “nella speranza che poi a casa continuino a vedere la tv e non a isolarsi davanti a un computer o a un telefonino”. Certo, fare la tv costa, “penso che il maggior difetto sia negli investimenti. La tv comporta investimenti, e se la pubblicità registra una contrazione ecco che gli investimenti si fermano…”.
Anche la Fnsi sottolinea con il suo segretario Raffaele Lorusso che “senza alcun dubbio” la televisione è il mezzo di comunicazione di massa più diffuso al mondo. Attraverso i molteplici canali televisivi quotidianamente e in tempo reale i cittadini di ogni Paese sono informati su qualsiasi avvenimento significativo si sia manifestato in qualunque parte del mondo.
L’importanza della tv nell’era dell’informazione totale
E l’immediatezza della comunicazione “ha fatto della televisione il canale informativo di gran lunga più efficace della carta stampata”. E addirittura capace di contrastare le fake news indotte dal web. Oggi, infatti, nel campo dei mezzi di comunicazione è presente e si afferma con sempre maggiore intensità la rete mediatica prodotta da internet: un flusso informativo costante e immenso alla portata immediata di ogni utente, ma proprio perché viviamo, a livello globale, nell’età dell’informazione, “benché possa apparire un paradosso, esistono evidenti pericoli sulla tenuta della democrazia. Da sempre, anche attraverso i tradizionali mezzi di comunicazione, sono circolate quelle che, con un termine corrente, vengono definite fake news, che hanno, molto spesso, influenzato o, comunque, contribuito ad influenzare, il corso della storia. Più si sviluppano i mezzi comunicativi, più dilaga il fenomeno delle fake news. è di tutta evidenza come un’alterazione e una distorsione delle notizie possa determinare alterazioni e distorsioni nell’opinione pubblica in termini di immediatezza e, di conseguenza, alterare e distorcere il corretto funzionamento della democrazia”.
Rispetto a tutti i mezzi di comunicazione, “la rete – aggiunge Lorusso all’AGI – è senza alcun dubbio il canale più pervasivo attraverso il quale si diffondono le fake news, ma non è pensabile che la soluzione possa essere quella di limitarla in qualche modo controllarla”. Di fronte a questa “invasione” informativa, la televisione, che ancora oggi è percepita dagli utenti come la fonte più attendibile di informazione, “è chiamata ad assumere un ruolo sempre più significativo e rilevante in termini di credibilità”.
Qui poi entra in gioco il servizio pubblico, ovvero se questo ruolo in terrmini di credibilità appartiene a tutte le televisioni in generale, “a maggior ragione deve costituire la “mission” della televisione pubblica”, ovvero la Rai. “è, infatti, la televisione pubblica, in quanto ne sia garantita l’autonomia professionale, il pluralismo delle testate e la non ingerenza del potere politico, lo strumento che può garantire la piena attendibilità dell’informazione e rappresentare una valida e riconosciuta barriera contro la disinformazione, la cattiva informazione e le fake news”.
A questo punto, viva mamma-tv e buona ricorrenza.
Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a dir@agi.it
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